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Il nesso tra le mansioni svolte e le patologie professionali

Il lavoratore-ricorrente ha l’onere di provare gli elementi costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, ex art. 2697, c.c.

Nel caso di specie, essendo la domanda diretta al riconoscimento dell’indennizzo per patologia professionale, dovrà essere dimostrata la riconducibilità dell’infermità lamentata alle concrete modalità di svolgimento delle mansioni inerenti alla qualifica posseduta.

La mutabilità, de facto, delle stesse, in ragione di molteplici variabili quali la localizzazione geografica e la turnazione, ne esclude la configurabilità come fatto notorio non necessario da provare.

L’onere suddetto non viene meno nel caso in cui difetti una espressa contestazione delle modalità della prestazione lavorativa, non previamente precisate.

Qualora la patologia risulti essere connotata da una eziologia multifattoriale, e salvo l’esistenza di un rischio specifico, si richiede una dimostrazione del nesso di causalità, quantomeno in termini di probabilità, strettamente legata a situazioni di fatto specifiche, essendo insufficienti mere presunzioni in astratto.

Cfr. Cass., sez. VI, 3 gennaio 2019, n. 61

L’insussistenza del posto segnalato dal lavoratore licenziato costituisce elemento presuntivo dell’impossibilità del repêchage

In caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, pur non essendo il lavoratore licenziato tenuto ad indicare altre posizioni lavorative disponibili esistenti in azienda al momento del recesso, laddove, in un contesto di accertata e grave crisi economica ed organizzativa dell’impresa, questi non di meno indichi le posizioni lavorative a suo avviso disponibili e queste risultino insussistenti, tale verifica ben può essere utilizzata, nel riferito contesto, dal giudice al fine di escludere la possibilità di repêchage.

Cass. Sez. Lav. 28.11.2018 n° 30259

 

L’obbligo di repêchage nel caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore e la tutela reintegratoria

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo consistente sulla inidoneità del lavoratore deve ritenersi illegittimo qualora non sia stato rispettato l’obbligo datoriale di adibire lo stesso a mansioni compatibili con lo stato sopravvenuto di salute, con la conseguente applicabilità della tutela reintegratoria nella sua forma attenuata, come prevista dall’art. 18 comma 4, l. n. 300 del 1970.

Cass. Sez. Lavoro 22.10.2018 n° 26675

 

Diritto di indire l’assemblea sindacale e rappresentatività della singola componente della r.s.u.

In tema di rappresentatività sindacale, dalla lettura coordinata degli artt. 19 e 20, l. 20 maggio 1970, n. 300, si desume che il combinato disposto degli artt. 4 e 5 dell’Accordo Interconfederale del 20 dicembre 1993, istitutivo delle r.s.u., deve essere interpretato nel senso che il diritto di indire assemblee rientra tra le prerogative attribuite non solo alla r.s.u. considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della r.s.u. stessa, purché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nell’azienda di riferimento, sia di fatto dotato di rappresentatività ai sensi del citato art. 19, l. n. 300 del 1970, quale risultante a seguito della sentenza della Corte cost. n. 231 del 2013.

Corte d’Appello di Perugia – Sez. Lavoro 22.10.2018

 

Esonero dall’assoggettamento al termine trimestrale del periodo di prova e recesso ante tempus

L’esonero dall’assoggettamento al termine trimestrale del periodo di prova previsto dal comma 4 dell’art. 4, r.d.l. n. 1825 del 1924, concerne gli impiegati con funzioni equivalenti a quelle di un dirigente; quindi, vi rientrano gli impiegati di prima categoria, con mansioni di concetto di particolare importanza e di collaborazione immediata e attiva nell’ambito dell’organizzazione aziendale, con responsabilità di un ufficio, ancorché senza poteri di rappresentanza in senso tecnico del datore di lavoro, atteso che tali mansioni sono qualificabili come equivalenti a quelle di un dirigente. Secondo consolidati orientamenti della Suprema Corte la figura dell’impiegato di prima categoria (o impiegato di concetto con funzioni direttive) si caratterizza per la preposizione a un singolo ramo o servizio dell’organizzazione aziendale, con relativa supremazia gerarchica, ancorché circoscritta a quel ramo o servizio, e con una certa libertà di apprezzamento e latitudine di iniziativa, nell’esplicazione di un’attività di immediata collaborazione col titolare dell’impresa o con i dirigenti di essa, sia pure nell’attuazione delle direttive generali da questo impartite e senza i poteri discrezionali propri dei dirigenti.

Tribunale di Trento – Sez. Lavoro 29.11.2018

La contestazione disciplinare può essere successiva all’esito del procedimento penale verso il dipendente

In materia di licenziamento disciplinare, è legittima la condotta del datore di lavoro che attenda gli esiti del procedimento penale a carico del lavoratore prima di procedere alla contestazione disciplinare per i medesimi fatti.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 1759/18, depositata il 24 gennaio.

Mutamento dell’oggetto della prestazione lavorativa nel corso del patto di prova

In caso di assegnazione in via continuativa al lavoratore assunto con patto di prova di mansioni diverse o ulteriori rispetto a quelle previste in occasione della stipula di tale patto, il recesso del datore di lavoro motivato con riferimento all’esito negativo della prova non può trovare la sua legittimità in tale patto – non invocabile dal datore di lavoro, ad esso inadempiente – qualora, per il rilievo quantitativo o qualitativo delle mansioni diverse o ulteriori, risulti sostanzialmente mutato l’oggetto complessivo della prestazione lavorativa e, altresì, se le mansioni diverse o aggiunte non assurgano a tale rilevanza, qualora risulti la potenziale incidenza delle ulteriori o aggiunte mansioni sul giudizio del datore di lavoro, per la natura delle stesse (per esempio, perché esse richiedano capacità diverse o maggiori).

Licenziamento disciplinare in assenza di preventiva contestazione e applicazione della tutela reintegratoria

La tutela reintegratoria nel caso di licenziamento disciplinare in assenza di preventiva contestazione.

In tema di licenziamento disciplinare intimato senza preventiva contestazione scritta, la Suprema Corte ha affermato che “il radicale difetto di contestazione dell’infrazione determina l’inesistenza dell’intero procedimento, e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria, di cui al comma 4 dell’art. 18, l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012”, precisando che l’art. 18, l. n. 300 del 1970, come modificato dal comma 42 dell’art. 1, l. n. 92 del 2012, distingue il fatto materiale dalla sua qualificazione in termini di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, riconoscendo la tutela reintegratoria solo in caso di insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, sicché ogni valutazione che attenga al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta contestata non è idonea a determinare la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

Licenziamento del dirigente per ragioni organizzative e onere della prova

La Suprema Corte afferma che “in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ricondotto a ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice – che non può sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione di libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41, Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto” (Cass. Sez. Lav. n° 31318 del 4.12.2018).

Contestazione disciplinare e recidiva

La preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore incolpato deve necessariamente riguardare, a pena di nullità della sanzione o del licenziamento disciplinare, anche la recidiva e i precedenti disciplinari che la integrano, solo quando la recidiva medesima rappresenti un elemento costitutivo della mancanza addebitata e non già mero criterio, quale precedente negativo della condotta, di determinazione della sanzione proporzionata da irrogare per l’infrazione disciplinare commessa.

Per individuare la natura costitutiva o meno della recidiva, occorre fare riferimento alle previsioni della contrattazione collettiva applicabile, dovendosi considerare che nell’interpretazione delle norme collettive trova applicazione la disciplina di cui agli artt. 1362, c.c. e ss.

Peraltro, la Suprema Corte ha avuto modo di sottolineare, in più occasioni, che il giudice non può estendere le ipotesi di condotte integranti giusta causa o giustificato motivo oltre il limite che l’autonomia delle parti ha previsto.

Nella specie, a fronte di condotte punibili con la sanzione conservativa della sospensione, il datore di lavoro può applicare la più grave sanzione espulsiva solamente in forza dell’operatività della recidiva. Ciò significa che la recidiva, rappresentando un elemento costitutivo della mancanza addebitata, ha natura costitutiva e, pertanto, dev’essere preventivamente contestata ai fini della legittimità del recesso. La presenza di precedenti disciplinari non può pertanto autorizzare il datore di lavoro ad applicare una sanzione diversa e più grave della sospensione, ma solamente a graduare in maniera più severa la sanzione conservativa.

(Corte d’Appello di Milano – Sez. Lavoro 15.10.2018 n° 1602)