Mutamento dell’oggetto della prestazione lavorativa nel corso del patto di prova

In caso di assegnazione in via continuativa al lavoratore assunto con patto di prova di mansioni diverse o ulteriori rispetto a quelle previste in occasione della stipula di tale patto, il recesso del datore di lavoro motivato con riferimento all’esito negativo della prova non può trovare la sua legittimità in tale patto – non invocabile dal datore di lavoro, ad esso inadempiente – qualora, per il rilievo quantitativo o qualitativo delle mansioni diverse o ulteriori, risulti sostanzialmente mutato l’oggetto complessivo della prestazione lavorativa e, altresì, se le mansioni diverse o aggiunte non assurgano a tale rilevanza, qualora risulti la potenziale incidenza delle ulteriori o aggiunte mansioni sul giudizio del datore di lavoro, per la natura delle stesse (per esempio, perché esse richiedano capacità diverse o maggiori).

Licenziamento disciplinare in assenza di preventiva contestazione e applicazione della tutela reintegratoria

La tutela reintegratoria nel caso di licenziamento disciplinare in assenza di preventiva contestazione.

In tema di licenziamento disciplinare intimato senza preventiva contestazione scritta, la Suprema Corte ha affermato che “il radicale difetto di contestazione dell’infrazione determina l’inesistenza dell’intero procedimento, e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria, di cui al comma 4 dell’art. 18, l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012”, precisando che l’art. 18, l. n. 300 del 1970, come modificato dal comma 42 dell’art. 1, l. n. 92 del 2012, distingue il fatto materiale dalla sua qualificazione in termini di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, riconoscendo la tutela reintegratoria solo in caso di insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, sicché ogni valutazione che attenga al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta contestata non è idonea a determinare la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

Licenziamento del dirigente per ragioni organizzative e onere della prova

La Suprema Corte afferma che “in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ricondotto a ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice – che non può sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione di libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41, Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto” (Cass. Sez. Lav. n° 31318 del 4.12.2018).