Nessuna presunzione di subordinazione deriva dalla tipologia dell’attività lavorativa in sé

Non sussiste alcuna presunzione di subordinazione che possa farsi derivare dalla tipologia dell’attività lavorativa in sé atteso che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di un rapporto di lavoro subordinato che di un rapporto di lavoro autonomo a seconda delle modalità del suo svolgimento.

L’elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento al potere direttivo di questo ed alle relative esigenze aziendali, mentre altri elementi – come l’osservanza di un orario, la continuità della prestazione e l’erogazione di un compenso continuativo – possono avere, invece, valore indicativo, ma mai determinante.

L’esistenza del suddetto vincolo va concretamente apprezzata dal giudice di merito con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che, in sede di legittimità, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – come tale incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale.

Tb. Catania Sez. Lav. 17.4.2019 n° 1863

Onere della prova del demansionamento

Secondo l’orientamento della Cassazione, quando un lavoratore alleghi un demansionamento, incombe su quest’ultimo l’onere di provare l’esatto adempimento del proprio obbligo: o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari, oppure, in base all’art. 1218, c.c., a causa di un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Tb. Napoli Sez. Lav. 11.4.2019

 

L’incidenza delle condotte extra lavorative sul vincolo fiduciario

Un licenziamento per giusta causa può essere fondato anche su condotte extra-lavorative precedenti l’instaurazione del rapporto di lavoro, purché non già conosciute dal datore ed idonee ad incidere irrimediabilmente sul vincolo fiduciario tra le parti. Qualora il fatto addebitato integri un’ipotesi di reato, non osta il recesso datoriale il difetto di una condanna definitiva, operando il principio di colpevolezza solo per la pretesa sanzionatoria statale, salvo che tale subordinazione sia oggetto di espressa previsione contrattuale.

Cass. Sez. Lav. 10.1.2019 n° 428

Legge 104: abuso del diritto a fruire dei permessi retribuiti

Abuso del diritto a fruire dei permessi retribuiti ex art. 33, l. n. 104 del 1992. Come affermato dalla Suprema Corte in tema di abuso del diritto connesso all’utilizzo improprio del permesso, art. 33, l. n. 104 del 1992: “ove l’esercizio del diritto soggettivo non si ricolleghi alla attuazione di un potere assoluto e imprescindibile, ma presupponga un’autonomia comunque collegata alla cura di interessi, soprattutto ove si tratti – come nella specie – di interessi familiari tutelati nel contempo nell’ambito del rapporto privato e nell’ambito del rapporto con l’ente pubblico di previdenza, il non esercizio o l’esercizio secondo criteri diversi da quelli richiesti dalla natura della funzione può considerarsi abuso in ordine a quel potere pure riconosciuto dall’ordinamento. L’abuso del diritto, così inteso, può dunque avvenire sotto forme diverse, a seconda del rapporto cui esso inerisce, sicché, con riferimento al caso di specie, rileva la condotta contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, nei confronti del datore di lavoro, che in presenza di un abuso del diritto al permesso si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione (la cui gravità va valutata in concreto) dell’affidamento da lui riposto nel medesimo, mentre rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico”.

Nel caso di specie il Giudice ha accertato il verificarsi di un abuso del diritto potestativo in quanto lo stesso è stato esercitato non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività per la gran parte del tempo totale concesso, ponendosi, quindi, la condotta della ricorrente in contrasto con la finalità della norma richiamata.

Tb. Bari Sez. Lav. 30.4.2019 in senso conforme Cass. Sez. VI 21.2.2019 n° 4984