Esercizio della clausola di gradimento

In linea di principio, l’esercizio della cd. clausola di gradimento da parte del datore di lavoro deve pur sempre essere soggetta a valutazione nell’ottica dei principi generali di correttezza e buona fede ex artt.1175, 1375 c.c., non potendo certo tradursi detto gradimento in mero ed ingiustificato arbitrio in danno di un lavoratore.

Tb. Reggio Calabria Sez. Lavoro 30.5.2019 decr. rigetto n° 10071

Il rifiuto della prestazione non obbliga sempre alla retribuzione

Secondo l’orientamento costante della giurisprudenza, il datore di lavoro non può unilateralmente ridurre o sospendere l’attività lavorativa, specularmente rifiutando di corrispondere al dipendente la retribuzione.

Tale condotta, infatti, integra un inadempimento contrattuale: data la sinallagmaticità del rapporto di lavoro, il rifiuto di una parte di eseguire la dovuta prestazione può essere opposto all’altra solo qualora questa ometta di effettuare la propria, il che non si verifica qualora il lavoratore venga impedito dalla unilaterale volontà del datore.

Tuttavia, è fatta salva la possibilità per la parte datoriale di provare l’impossibilità dell’accettazione per motivi sopravvenuti, non allo stesso imputabili, in ragione dei quali la sospensione risulta essere  la imprevedibile e inevitabile, con esonero dall’obbligazione retributiva.

Si precisa che a tale fine non rilevano eventuali carenze di programmazione o di organizzazione aziendale, ovvero contingenti difficoltà di mercato.

Cass. Sez. Lav. n° 14419 del 27.5.2019

La Corte di giustizia sul mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda

La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che la direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, e in particolare il suo articolo 2, paragrafo 1, lettera d), deve essere interpretata nel senso che una persona che ha stipulato, con il cedente, un contratto di collaborazione, ai sensi della normativa nazionale di cui al procedimento principale, può essere considerata come «lavoratore» e quindi beneficiare della protezione che tale direttiva concede, a condizione, tuttavia, che essa sia tutelata in quanto lavoratore da detta normativa e che benefici di un contratto di lavoro alla data del trasferimento, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

La direttiva 2001/23, in combinato disposto con l’art. 4, par. 2, TUE, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale la quale preveda che, in caso di trasferimento ai sensi di tale direttiva, e per il fatto che il cessionario è un comune, i lavoratori interessati debbano, da un lato, partecipare ad una procedura di concorso pubblico e, dall’altro, costituire un nuovo rapporto contrattuale con il cessionario.

Corte di Giustizia UE 13.6.2019 n° 317

 

Ripartizione dell’onere probatorio nel licenziamento orale

“Il lavoratore subordinato che impugni un licenziamento allegando che è stato intimato senza l’osservanza della forma prescritta ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti; la mera cessazione nell’esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a fornire tale prova. Ove il datore di lavoro eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore, il giudice sarà chiamato a ricostruire i fatti con indagine rigorosa – anche avvalendosi dell’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio ex art. 421, c.p.c. – e solo nel caso perduri l’incertezza probatoria farà applicazione della regola residuale desumibile dal comma 1 dell’art. 2697, c.c., rigettando la domanda del lavoratore che non ha provato il fatto costitutivo della sua pretesa”.

Tb. Bari Sez. Lav. 13.6.2019 – in senso conforme Cass. n° 3822 / 2019

Il superminimo è soggetto al principio dell’assorbimento

Il cosiddetto superminimo, ossia l’eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore, è soggetto al principio dell’assorbimento, nel senso che, in caso di riconoscimento del diritto del lavoratore a superiore qualifica, l’emolumento è assorbito dai miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva abbia altrimenti disposto, restando a carico del lavoratore l’onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, escludendone l’assorbimento.

Tribunale di Milano Sez. Lav., 21 maggio 2019, n. 1241

La Corte di giustizia sull’obbligo di istituire un sistema per la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero

Massima. Per la Corte di giustizia gli Stati membri dell’Unione europea devono imporre alle aziende l’istallazione di sistemi di rilevazione dei tempi di lavoro di ciascun lavoratore. Ciò non solo per verificare il rispetto dei periodi di riposo, ma anche per disporre di un sistema certo e affidabile di misurazione dello straordinario nelle controversie di lavoro.

Corte giust. UE, Grande Sezione, 14 maggio 2019, C-55/18

Nozione di unità produttiva ed accertamento del requisito dimensionale

La giurisprudenza di legittimità comunemente ritiene che per “unità produttiva” deve intendersi non ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell’impresa, ma soltanto la più consistente e vasta entità aziendale che, eventualmente articolata in organismi minori, anche non ubicati tutti nel territorio del medesimo comune, si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo a una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale.

Ne consegue che deve escludersi la configurabilità di unità produttiva in relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto a una frazione dell’attività produttiva della stessa.

Tribunale di Alessandria Sez. Lav. 13.5.2019

In senso conforme

Cass., sez. lav., 26 settembre 2011, n. 19614

Superamento del periodo di comporto : le assenze vanno precisate

Qualora l’atto di intimazione del licenziamento faccia generico riferimento al superamento del periodo di conservazione del rapporto, il dipendente ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del recesso, dovendosi garantire il diritto di difesa del primo  e, nello specifico, la possibilità di opporre propri specifici rilievi. Ne consegue che, nel caso di inottemperanza, secondo le modalità di legge, a tale richiesta, il licenziamento dovrà considerarsi illegittimo.

Cass. Sez. Lav., 27 febbraio 2019, n. 5752.