Carica sociale e lavoro subordinato

La qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società sono cumulabili, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale.

Relativamente all’amministratore delegato l’attenzione deve essere posta sull’ampiezza della delega conferita :  generale, con conseguente gestione globale dell’ente, ovvero parziale per limitati  atti gestori.

Nella prima ipotesi (delega generale) ove l’amministratore agisca senza il necessario consenso del CDA, si esclude lo stesso possa intrattenere un rapporto di lavoro subordinato con l’ente.

Qualora, invece, il CDA abbia attribuito il solo potere di rappresentanza all’esterno, ovvero specifiche deleghe, si ritiene possibile l’instaurazione del suddetto rapporto.

Non trascurabile è anche l’esame di ulteriori circostanze, quali i rapporti intercorrenti fra l’organo delegato e il CDA,  il numero degli amministratori delegati, nonché  la sussistenza in concreto degli elementi caratterizzanti il vincolo di subordinazione (assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione). Si veda: INPS, messaggio 17 settembre 2019, n. 3359

Cass., Sez. I, 9 maggio 2019, n° 12380

 

La scelta della controparte nella contrattazione collettiva

Non è rinvenibile nel nostro ordinamento un diritto dell’o.s. all’ammissione alle trattative per la stipulazione del contratto collettivo, operando il generale principio dell’autonomia negoziale e, dunque, il c.d. reciproco riconoscimento nella scelta della controparte contrattuale. Eventuali deroghe devono essere oggetto di una espressa previsione, legale o contrattuale, mediante la quale venga posto a carico delle parti un obbligo a contrarre. La scelta, in ogni caso, rappresenta una conseguenza di un dato fattuale, ossia dell’effettiva rappresentatività del sindacato rispetto ai lavoratori

Tribunale Roma Sez. Lav. 5 dicembre 2019

 

Repêchage e mansioni inferiori

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo a causa della soppressione del posto cui era addetto il lavoratore, il datore ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussistesse alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale.

Cass., Sez. Lav., 11 novembre 2019, n° 29099

 

La sentenza della Corte Cost. che dichiara illegittimo il criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento stabilito dal Jobs Act

Per la Corte costituzionale, non è in discussione il meccanismo di ristoro economico, c.d. a tutele crescenti, al posto della tutela reale; ad essere illegittimo è il sistema rigido di previsione di una indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore, contrario, secondo la Corte, ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e in contrasto con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4  e 35 della Costituzione.

Responsabilità dell’utilizzatore per fatti illeciti compiuti dal lavoratore nell’ambito della missione

In tema di contratto di somministrazione di lavoro di cui al d.lgs. n. 276 del 2003, la responsabilità ex art. 2049, c.c., per i danni cagionati a terzi da fatti illeciti compiuti dal lavoratore nello svolgimento della missione grava non già sul somministratore, mero datore di lavoro, bensì, ed in via esclusiva, sull’utilizzatore, cioè sul soggetto che detta missione ha concretizzato inserendo il lavoratore nella sua organizzazione imprenditoriale, ovvero incastonandolo nel suo interesse nel senso di esigenza organizzativa, nella sua direzione e nel suo controllo, così da integrare l’occasionalità necessaria sottesa a siffatta responsabilità.

Cass., Sez. III, 6 dicembre 2019, n° 31889

 

Onere di repêchage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Quanto all’onere di repêchage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, il datore di lavoro ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussistesse alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale.

Diritto al trattamento della categoria superiore e i criteri alternativi alla prevalenza

In conformità a quanto disposto dall’art. 2103, c.c., qualora il lavoratore, oltre alle mansioni allo stesso assegnate in sede di assunzione, di fatto ne svolga anche altre, proprie di una categoria diversa e superiore rispetto a quella di appartenenza, il giudice dovrà innanzitutto applicare il criterio della prevalenza, valutando dunque le prestazioni svolte, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale.

Ove l’applicazione di tale regola non sia possibile nel caso di specie, perché possa riconoscersi il trattamento corrispondente alla categoria superiore, dovrà considerarsi se il lavoratore svolga nella sua interezza la mansione superiore, non rilevando il contemporaneo esercizio della funzione inferiore, qualunque ne sia la quantità.

Tuttavia, qualora la mansione il cui espletamento è attributivo della categoria superiore non venga svolta nella sua interezza dal dipendente, si dovrà fare riferimento alla quantità delle energie lavorative profuse nelle singole mansioni.

Cass., Sez. Lav., 12 dicembre 2019, n° 32699

 

Giusta causa e infondatezza di uno degli addebiti

Non è necessaria la prova del complesso degli episodi addebitati, ed il datore di lavoro non è tenuto a dimostrare di aver licenziato il lavoratore solo sulla base di una considerazione unitaria di essi.

È invece il lavoratore, in quanto parte interessata, a dover provare che solo se presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, i singoli episodi sarebbero stati connotati da una gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.

Cass., Sez. Lav., 7 gennaio 2020, n° 113

 

Qualificazione della natura giuridica del contratto

La giurisprudenza di legittimità, affrontando il problema del criterio distintivo tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, ha affermato il principio consolidato secondo cui, ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, assume rilievo scriminante l’accertamento della sussistenza del requisito della subordinazione intesa come assoggettamento della prestazione lavorativa al potere del datore di lavoro di disporne secondo le mutevoli esigenze di tempo e di luogo proprie dell’organizzazione imprenditoriale e di controllarne intrinsecamente lo svolgimento attraverso direttive alle quali il lavoratore è obbligato ad attenersi, così come è obbligato a mantenere nel tempo la messa a disposizione delle proprie energie lavorative per il raggiungimento degli scopi produttivi dell’impresa.

Cass., Sez. Lav., 13 aprile 2017, n° 9590
Cass., Sez. Lav., 25 luglio 2014, n° 17008

 

Rimessione alla Corte di giustizia UE della questione interpretativa su un caso di licenziamento collettivo

Alla luce del fatto che nel giro di soli tre anni (2015-2018) il Legislatore nazionale ha introdotto diversi modelli sanzionatori concorrenti per i licenziamenti collettivi, determinando così la coesistenza di regimi profondamente diversi tra loro che possono trovare contestuale applicazione per una stessa violazione in una medesima procedura di licenziamento collettivo, sono state sottoposte alla Corte di giustizia dell’Unione europea le seguenti questioni interpretative :

Se gli articoli 20-21, 34 e 47 della CDFUE ostino all’introduzione di una normativa o di una prassi applicativa da parte di uno Stato membro, attuativa della direttiva 98/59/CE, che preveda, per i soli lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 coinvolti nella medesima procedura, un sistema sanzionatorio che esclude, diversamente da quanto assicurato agli altri lavoratori sottoposti alla medesima procedura, ma assunti in data antecedente, la reintegra nel posto di lavoro e, comunque, il ristoro delle conseguenze derivanti dalla perdita del reddito e dalla perdita della copertura previdenziale, riconoscendo esclusivamente un indennizzo caratterizzato da un importo determinato in via prioritaria sul parametro dell’anzianità lavorativa, differenziando, quindi, sulla base della data di assunzione, la sanzione in modo da generare una diversità di livelli di tutela basati sul summenzionato criterio e non sulle conseguenze effettive subite a seguito della ingiusta perdita della fonte di sostentamento.