Trasferimento d’azienda e automatica cessione dei contratti di lavoro

Con ordinanza n° 24916 / 2020, depositata il 6 novembre, la Corte di cassazione torna a ribadire che nelle ipotesi di trasferimento di azienda, la cessione dei contratti di lavoro avviene automaticamente ex art. 2112 c.c.. Chiarisce la Corte, che «solo il lavoratore che intenda contestare la cessione del suo contratto di lavoro ex art. 2112 c.c. deve far valere tale impugnazione nel termine di cui all’art. 32, comma 4, lett. c)».

Il dipendente in isolamento domiciliare fiduciario è comunque tenuto a svolgere la propria prestazione ?

Nel messaggio n. 3653 del 9 ottobre 2020, l’INPS ha chiarito che la quarantena e la sorveglianza precauzionale per i soggetti fragili, di cui rispettivamente ai commi 1 e 2 dell’art. 26 del d.l. n. 18 del 2020, non configurano un’incapacità temporanea al lavoro per una patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma situazioni di rischio per il lavoratore e per la collettività che il legislatore ha inteso tutelare equiparando, ai fini del trattamento economico, tali fattispecie alla malattia e alla degenza ospedaliera.

Il lavoratore, pertanto, sulla base di accordi con il proprio datore, può continuare a svolgere la propria attività presso il domicilio (modalità agile).

In caso di malattia conclamata (art. 26, comma 6), invece, il lavoratore è temporaneamente incapace al lavoro. Analogamente, con il d.m. del 19 ottobre 2020 il Ministro della P.A. ha precisato che nelle ipotesi di quarantena con sorveglianza attiva o di isolamento domiciliare fiduciario, ivi compresi quelli di cui all’articolo 21-bis, commi 1 e 2, d.l. n. 104/2020, il lavoratore, che non si trovi comunque nella condizione di malattia certificata, svolge la propria attività in modalità agile.

La disciplina dei licenziamenti alla luce dell’ultimo D.L. n° 137 / 2020

In base a quanto disposto dall’art. 14 comma, 1 d.l. n. 104/2020 (legge di conversione n. 126/2020), ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 (art. 1) ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali (art. 3) è precluso l’avvio delle procedure di cui agli artt. 4, 5 e 24 l. n. 223/1991, restando altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, e  fatte salve le ipotesi espressamente indicate nel comma 3 del medesimo art. 14.

La preclusione del potere datoriale di recesso– anche per i casi di licenziamento per gmo – viene testualmente ad essere subordinata all’integrale fruizione della CIG ovvero dell’esonero contributivo. Per tale ragione la dottrina ha definito come “mobile” il divieto di licenziamento fissato nel Decreto agosto.

Tuttavia il recente d.l. n. 137/2020, all’art. 12, comma 9, dispone, senza alcun collegamento o richiamo alla precedente disciplina, che “fino al 31 gennaio 2021 resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020”. Rimangono invariate le ipotesi eccettuate.

Il mancato espresso riferimento alla fruizione dei trattamenti sopra richiamati, i quali sono stati confermati ed estesi nel decreto del 28 ottobre 2020, sembra manifestare un mutato orientamento del legislatore, diretto ad una generalizzata predeterminazione della durata temporale del divieto di licenziamento, con conseguente venir meno della condizione prima indicata nel d.l. n. 104/2020 ed oggi confermata nella legge di conversione.

 

Le risoluzioni consensuali “indotte” rientrano nel computo numerico per identificare cd. licenziamenti collettivi

La Corte di Giustizia, pronunciandosi su un caso (afferente il diritto spagnolo) di dimissioni cagionate da una unilaterale riduzione della retribuzone, ha chiarito come non siano ammissibili interpretazioni restrittive della direttiva n. 98/59/CE.

Nell’interpretazione della direttiva, la Corte ha affermato che essa, da un lato tutela il lavoratore ma, dall’altro, tende all’armonizzazione dei sistemi nazionali. Sotto questo punto di vista non sono ipotizzabili interpretazioni differenziate della nozione di “licenziamento” da utilizzare ai fini dell’operatività della disciplina disposta dalla direttiva stessa.

E’ sulla base di tale pronuncia europea che la Suprema Corte è stata, in certa misura, costretta a rivedere il proprio orientamento sino ad affermare, con la pronuncia in esame, che “rientra nella nozione di “licenziamento” il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, a una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta del lavoratore medesimo”.

Cass., Sez. Lav., 20 luglio 2020, n° 15401