Danno da contratto a termine e agevolazione probatoria

Il danno può essere presunto, con conseguente agevolazione probatoria per il lavoratore, qualora tra le parti sia stato stipulato un solo contratto a termine dichiarato illegittimo?

L’ipotesi in cui sia stata dichiarata nulla l’apposizione di un termine ad un unico negozio non è equiparabile (art. 3 Cost.) al caso, distinto, di illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato. Tale ultima fattispecie è regolata dal diritto comunitario che, imponendo l’adozione di misure sanzionatorie idonee, ha portato il legislatore italiano a prevede una agevolazione a favore del lavoratore nella prova del danno subito, causalmente connesso alla reiterazione prefata (c.d. danno comunitario).

L’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010 non è pertanto applicabile ove venga in rilievo un unico rapporto, non sussistendo le ragioni determinanti l’adeguamento della normativa interna alla disciplina europea nei termini sopra riportati. Ne consegue che ove il giudice accerti l’illegittimità dell’unico contratto a termine stipulato tra il lavoratore ed il datore, troverà applicazione la regola generale per la quale il primo è tenuto ad allegare e provare il danno asseritamente sopportato.

Si tiene a precisare che, qualora si verta in ipotesi di pubblico impiego, la giurisprudenza di legittimità ha escluso la coincidenza del danno con la mancata conversione del contratto a termine in un rapporto a tempo indeterminato, tenuto conto che il pregiudizio risarcibile è solo quello ingiusto e tale non può ritenersi una conseguenza prevista da una disposizione normativa.

Cass., Sez. Lav., 14 dicembre 2020, n. 28422

 

Concorso del lavoratore nella causazione dell’infortunio

L’azione di regresso di cui agli artt. 10 e 11 d.P.R. n. 1124/1965 è riconosciuta all’Inail nei confronti del datore del quale sia stata accertata la responsabilità per l’infortunio subito dal lavoratore assicurato al quale l’Istituto abbia corrisposto le prestazioni di legge.

Suddetta azione ha natura diretta ed autonoma, sicché l’eventuale concorso di colpa dell’infortunato nella causazione dell’evento nefasto non può determinare automaticamente una riduzione della pretesa attorea nei confronti del datore.

Una modifica del quantum potrà essere operata dal giudice solo entro i limiti dettati dall’art. 1916 c.c.: l’Inail potrà infatti pretendere dal datore solo una somma pari a quanto quest’ultimo sarebbe obbligato a corrispondere al lavoratore a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito.

Preliminare sarà dunque la liquidazione del danno patito dal lavoratore dal quale sarà decurtata la parte da porre a carico del danneggiato stesso in ragione del suo concorso nella produzione dell’evento, con rivalutazione del credito risarcibile al momento della decisione.

Solo così il giudice potrà procedere al raffronto tra l’ammontare del risarcimento dovuto ed il credito oggetto dell’azione di regresso, non potendo quest’ultimo essere superiore al primo.

Solo nel caso in cui la pretesa dell’Istituto sia maggiore al danno risarcibile il giudice potrà ridurre la somma spettante per le prestazioni erogate al danneggiato-assicurato, evitando che essa risulti superiore rispetto a quanto dovuto dal datore-danneggiante.

Cass., Sez. Lav., 5 ottobre 2020, n. 21314

 

Dirigente, licenziamento ritorsivo e rito processuale

“… occorre premettere, pur dovendosi constatare come la Legge riservi al lavoratore con qualifica dirigenziale un trattamento migliore rispetto a qualsiasi altro lavoratore subordinato (se non altro per le modalità di calcolo dell’indennizzo dovuto oltre che per il rito accelerato), come il presente procedimento sia stato introdotto correttamente con il rito Fornero trovando nel caso di specie, in ragione della domanda avanzata dal ricorrente che afferma essere stato destinatario di licenziamento ritorsivo, applicazione l’art. 18, Legge 300/1970 e non il DLgs. 23/2015, essendo la più recente normativa diretta a disciplinare il licenziamento di operai, impiegati e quadri

… deve poi essere detto come nell’ambito del summenzionato rito debba (dovrebbe) essere trattata anche la domanda subordinatamente proposta – che il ricorrente ha quindi qui correttamente avanzato – posto che simile domanda certamente rientra tra quelle strettamente connesse, nel senso fatto proprio dall’art. 1, co. 48, Legge 92/2012, alla pretesa inerente l’impugnazione del licenziamento; in altri termini, la domanda volta all’accertamento della ingiustificatezza del licenziamento si fonda sui medesimi fatti su cui poggia la richiesta di annullamento/illegittimità del medesimo licenziamento”

Tribunale di Vicenza Sez. Lavoro 1.12.2020 R.G. n° 1306 / 2019

 

Rider = lavoratori subordinati

Le piattaforme digitali sono da considerarsi imprese e non meri intermediari di servizi con la conseguenza che il rapporto di lavoro con i rider deve essere qualificato come subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c. qualora la possibilità di scelta della collocazione oraria nella quale lavorare sia fittizia e non veritiera e tenuto conto della totale assenza di autonomia nello svolgere la prestazione.

Nel caso di specie è stato accertato che la possibilità di scelta della collocazione oraria ove svolgere la prestazione non era reale posto che le fasce orarie ove eseguire le consegne erano stabilite dal programma gestito dalla piattaforma che le stabiliva mediante un sistema di punteggi “eccellenza” attraverso il quale veniva, inoltre, esercitato un vero e proprio potere disciplinare nei confronti del rider.

Tribunale Palermo 24 novembre 2020, n. 3570