Licenziamento per g.m.o. : insussistenza del fatto e insufficienza della prova

In tema di licenziamento per g.m.o., la verifica del requisito della “manifesta insussistenza del fatto” fondante il recesso datoriale concerne sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, sia l’obbligo di “repéchage“. Fermo l’onere della prova in capo al datore ex art. 5 l. n. 604/1966, con l’espressione “manifesta insussistenza” deve intendersi un’assenza dei suddetti presupposti di legittimità del licenziamento che sia evidente, nonché facilmente verificabile sul piano probatorio, con conseguente emersione della pretestuosità del recesso datoriale.

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto applicabile il regime indennitario in presenza di una mera insufficienza probatoria, ossia per il caso in cui l’insussistenza potrebbe essere dedotta semplicemente da altri elementi di per sé opinabili o non univoci, come il ricorso ad ore di straordinario, normalmente legato ad esigenze contingenti.

L’insufficiente dimostrazione della sussistenza delle ragioni organizzative/produttive, o dell’obbligo di “repéchage”, pertanto, non consente l’operatività della tutela reale.

Cass., Sez. Lav., 4 marzo 2021, n. 6083

 

Tutela dei dirigenti in caso di licenziamento discriminatorio

La l. 9 aprile 1990, n. 92, all’art. 1, comma 41, ha previsto l’applicabilità della tutela reintegratoria piena anche per i dirigenti nelle ipotesi di licenziamento nullo perchè discriminatorio ovvero intimato in concomitanza col matrimonio o in violazione dei divieti di licenziamento di cui alla normativa in materia di tutela della maternità e della paternità ovvero, ancora, perchè riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c. La portata innovativa della norma che ha ampliato la possibilità per i dirigenti di invocare la tutela reale è, tuttavia, mitigata dalla constatazione che si tratta di ipotesi nelle quali l’onere probatorio incombe sul lavoratore. Questi, infatti, dovrà dimostrare la natura discriminatoria o illecita del recesso attraverso elementi specifici tali da far ritenere con sufficiente certezza l’intento ritorsivo e dovrà, altresì, dimostrare che tale intento abbia avuto carattere determinante la volontà datoriale.

Inidoneità (seppur parziale) alle mansioni per rifiuto a vaccinarsi contro il virus Sars Cov-2 e sospensione temporanea dal lavoro e dalla retribuzione

La comunicazione datoriale di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino ad eventuale revisione del giudizio di idoneità o cessazione delle limitazioni, stante l’impossibilità di un ricollocamento aliunde, non costituisce un provvedimento disciplinare per il rifiuto di sottoporsi a vaccinazione, bensì un doveroso provvedimento di sospensione adottato stante la parziale inidoneità alle mansioni del lavoratore.

Tribunale Roma ord. 28 luglio 2021

 

 

Mancata vaccinazione ed inidoneità alla mansione del lavoratore

La mancata vaccinazione, pur non assumendo rilievo disciplinare, comporta conseguenze in ordine alla valutazione oggettiva dell’idoneità alle mansioni.

In ragione della tipologia delle mansioni espletate e della specificità del contesto lavorativo e dell’utenza, è possibile sostenere che l’assolvimento dell’obbligo vaccinale inerisca alle mansioni del personale.

Il rifiuto della somministrazione, non giustificato da cause di esenzione e da specifiche condizioni cliniche, costituisce impedimento di carattere oggettivo all’espletamento della prestazione lavorativa

Tribunale Modena, 23 luglio 2021, n. 2467