Contestazione disciplinare e recidiva

La preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore incolpato deve necessariamente riguardare, a pena di nullità della sanzione o del licenziamento disciplinare, anche la recidiva e i precedenti disciplinari che la integrano, solo quando la recidiva medesima rappresenti un elemento costitutivo della mancanza addebitata e non già mero criterio, quale precedente negativo della condotta, di determinazione della sanzione proporzionata da irrogare per l’infrazione disciplinare commessa.

Per individuare la natura costitutiva o meno della recidiva, occorre fare riferimento alle previsioni della contrattazione collettiva applicabile, dovendosi considerare che nell’interpretazione delle norme collettive trova applicazione la disciplina di cui agli artt. 1362, c.c. e ss.

Peraltro, la Suprema Corte ha avuto modo di sottolineare, in più occasioni, che il giudice non può estendere le ipotesi di condotte integranti giusta causa o giustificato motivo oltre il limite che l’autonomia delle parti ha previsto.

Nella specie, a fronte di condotte punibili con la sanzione conservativa della sospensione, il datore di lavoro può applicare la più grave sanzione espulsiva solamente in forza dell’operatività della recidiva. Ciò significa che la recidiva, rappresentando un elemento costitutivo della mancanza addebitata, ha natura costitutiva e, pertanto, dev’essere preventivamente contestata ai fini della legittimità del recesso. La presenza di precedenti disciplinari non può pertanto autorizzare il datore di lavoro ad applicare una sanzione diversa e più grave della sospensione, ma solamente a graduare in maniera più severa la sanzione conservativa.

(Corte d’Appello di Milano – Sez. Lavoro 15.10.2018 n° 1602)

 

Licenziamento per giusta causa e termine previsto dalla contrattazione collettiva

Il licenziamento per giusta causa comminato oltre il termine stabilito dalla previsione collettiva che, altresì, attribuisce al decorso dello stesso il significato di accoglimento delle giustificazioni rese dal lavoratore, deve considerarsi illegittimo per l’insussistenza del fatto contestato con conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata (art. 18, comma 4, l. n. 300 del 1970), per aver il datore di lavoro implicitamente accolto le giustificazioni a discolpa del dipendente e dunque per la totale mancanza di un elemento essenziale della giusta causa (Cass. Sez. Lav. 3.9.2018 n° 21569. In senso difforme Cass. Sez. Lav. 16.8.2016 n° 17113).

La disciplina sanzionatoria del licenziamento invalido, dalla legge 604 al Jobs Act, modificato dal decreto dignità, alla Corte cost. 8 novembre 2018, n. 194

Con riferimento alle imprese soggette alla disciplina sui licenziamenti individuali di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 108 del 1990 (e quindi relativamente alla cosiddetta tutela obbligatoria), il licenziamento intimato oralmente deve ritenersi “giuridicamente inesistente ed improduttivo di effetti”, per cui il lavoratore ha diritto a ricevere, a titolo risarcitorio, la retribuzione spettante sino alla sua riammissione in servizio, stante l’inidoneità del recesso verbale ad incidere sulla continuità giuridica del rapporto di lavoro e dovendo assegnarsi alla responsabilità esclusiva del datore di lavoro la mancata, effettiva utilizzazione delle energie lavorative del dipendente, restando esclusa la sanzione prevista dall’art. 8, l. n. 604 del 1966, riferibile alle sole ipotesi di licenziamento privo di giustificazione (cfr., da ultimo, Cass. 30 agosto 2010, n. 18844; Cass. 18 maggio 2006, n. 11670; Cass. 8 giugno 2005, n. 11946; Cass. 11 settembre 2003, n. 13375; Cass. 18 agosto 2003, n. 12079; Cass. 18 febbraio 2003, n. 2392; Cass. 20 dicembre 2002, n. 18194; Cass. 19 maggio 2001 n. 6879. Cfr. anche Cass. 5 giugno 2003, n. 9022 e 18 novembre 2000n. 14949, secondo le quali in presenza di un licenziamento inefficace il lavoratore ha diritto al pagamento delle retribuzioni maturate).

Rappresentatività sindacale in azienda e diritto di indire assemblee da parte di un singolo componente la r.s.u.

Organismi di rappresentatività sindacale in azienda diversi dalle r.s.a. In base al principio fissato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione l’autonomia collettiva può prevedere organismi di rappresentatività sindacale in azienda diversi rispetto alle rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.), assegnando ad essi prerogative sindacali non necessariamente identiche a quelle delle r.s.a., con l’unico limite, di cui all’art. 17, l. n. 300 del 1970, del divieto di riconoscere ad un sindacato un’ingiustificata posizione differenziata, che lo collochi quale interlocutore privilegiato del datore di lavoro (Cass. n° 26011 / 2018).

Contrazione “ciclica” della produzione e licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Ai sensi dell’art. 3, l. n. 604 del 1966, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere fondato su ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, può integrare il giustificato motivo del recesso del datore anche una scelta di quest’ultimo di procedere ad una redistribuzione delle mansioni tra un numero inferiore di addetti ai lavori, così da conseguire obbiettivi di economicità.

La contrazione della produzione, sebbene possa definirsi “fisiologica” in quanto determinata da andamenti del mercato ripetitivi nel corso degli anni, non esclude la legittimità del licenziamento qualora, data prova dell’impossibilità di un ricoloccomaneto nella azienda, i compiti del licenziato vengano assegnati ai lavoratori rimanenti ed il datore non proceda ad ulteriori assunzioni, confermando la situazione di saturazione del personale.

Cfr. Cass. ord. n. 27079 del 2018.

La contestazione disciplinare può essere successiva all’esito del procedimento penale a carico del lavoratore

In materia di licenziamento disciplinare, è legittima la condotta del datore di lavoro che attenda gli esiti del procedimento penale a carico del lavoratore prima di procedere alla contestazione disciplinare per i medesimi fatti. Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 1759/18, depositata il 24 gennaio.

Utilizzabilità dei dati raccolti tramite l’uso di strumenti tecnologici da parte del dipendente: gli orientamenti della giurisprudenza

L’evoluzione tecnologica e l’uso sempre più frequente da parte dei lavoratori di strumenti informatici sottopone i tradizionali concetti giuslavoristici ad una forte torsione. In particolare, il perimetro del potere di controllo del datore di lavoro può subire un’innegabile dilatazione attraverso l’utilizzo degli strumenti informatici da parte del personale dipendente. La riforma del 2015 dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori ha dato una prima risposta alla necessità di adeguare il quadro normativo relativo ai controlli del datore di lavoro al mutato contesto economico e tecnologico. La norma, così come modificata nel 2015, costituisce un vero e proprio punto di contatto tra il diritto del lavoro e la tutela dei dati personali e della riservatezza del lavoratore. Di recente, con l’ordinanza 13 giugno 2018, n. 57668, il Tribunale di Roma ha affermato un vero e proprio rapporto di propedeuticità tra il rispetto della normativa posta a tutela dei dati personali e l’utilizzabilità a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro delle informazioni raccolte attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici da parte del dipendente.

Limiti all’utilizzo dei dati acquisti mediante controlli c.d. difensivi: quando si applica l’art. 4, st. lav.?

Il nuovo art. 4, l. n. 300 del 1970, consente l’installazione di impianti dai quali possa derivare il controllo a distanza dei lavoratori ma a determinate condizioni e al solo fine di difendere il patrimonio aziendale. Qualora dagli strumenti impiegati per rendere la prestazione lavorativa possa derivare anche un controllo, questo dovrà essere conforme al Codice della privacy, recte art. 11, d.lgs. n. 196 del 2003, ed il lavoratore dovrà esserne previamente informato.

Limiti all’utilizzo dei dati acquisti mediante controlli c.d. difensivi: quando si applica l’art. 4, st. lav.?

Il nuovo art. 4, l. n. 300 del 1970, consente l’installazione di impianti dai quali possa derivare il controllo a distanza dei lavoratori ma a determinate condizioni e al solo fine di difendere il patrimonio aziendale. Qualora dagli strumenti impiegati per rendere la prestazione lavorativa possa derivare anche un controllo, questo dovrà essere conforme al Codice della privacy, recte art. 11, d.lgs. n. 196 del 2003, ed il lavoratore dovrà esserne previamente informato.

Sulla rilevabilità d’ufficio delle cause di nullità del licenziamento

La disciplina della invalidità del licenziamento è caratterizzata da specialità, rispetto a quella generale della invalidità negoziale, desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per impugnarlo e di termini perentori per il promovimento della successiva azione di impugnativa, che resta circoscritta all’atto e non è idonea a estendere l’oggetto del processo al rapporto, non essendo equiparabile all’azione con la quale si fanno valere diritti autodeterminati. Conseguentemente, l’eventuale nullità del licenziamento non può essere rilevata d’ufficio, dovendo la pronuncia rimanere circoscritta alle ragioni di illegittimità ritualmente dedotte dalla parte.