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Licenziamento del dirigente tra legame fiduciario e diritto di critica

Nel rapporto di lavoro dirigenziale e ai fini della giustificatezza del recesso, il giudice di merito deve procedere ad una accurata opera di componimento tra l’accentuato obbligo di fedeltà – legame fiduciario – del dirigente e il diritto di critica, di denuncia e di dissenso al medesimo spettante, escludendo che l’esercizio di tali diritti, ove avvenga nei limiti già tracciati dalla giurisprudenza e quindi in maniera ragionevole e non pretestuosa nonché con modalità formalmente corrette, possa integrare di per sé la nozione di giustificatezza del licenziamento.

Con particolare riferimento al dirigente che rivesta la qualifica di direttore generale, deve affermarsi che non integra di per sé la giustificatezza del licenziamento la condotta del dirigente – direttore generale che, anche al fine di non incorrere in responsabilità verso la società per atti e comportamenti degli amministratori, eserciti, in maniera non pretestuosa, il diritto al dissenso nelle sedi proprie, di cui all’art. 2392 c.c., con modalità non diffamatorie o offensive.

Cass., Sez. Lav., 31 maggio 2022, n° 17689

 

L’insussistenza non più manifesta del fatto posto a base del licenziamento da GMO alla luce dei nuovi orientamenti giurisprudenziali

Quanto alle conseguenze del recesso datoriale illegittimo, ai sensi dell’art. 18, comma 7 Stat. Lav., all’esito delle sentenze n. 59/2021 e n. 125/2022 della Corte Costituzionale, il Giudice applica la medesima disciplina di cui al comma 4° (c.d. tutela attenuata) nelle ipotesi in cui accerti la (manifesta) insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Deve ribadirsi che la verifica della “insussistenza” concerne entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti l’attività produttiva, organizzativa del lavoro e il regolare funzionamento di essa, sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore.

Tribunale Roma, Sez. Lav., 23 maggio 2022, n. 51182

 

Limite temporale dei CCNL e assenza di ultra-attività alla scadenza in assenza di apposita clausola

«I contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti, atteso che l’opposto principio di ultrattività sino ad un nuovo regolamento collettivo -secondo la disposizione dell’art. 2074 cod. civ.- in contrasto con l’intento espresso dagli stipulanti, ponendosi come limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, violerebbe la garanzia prevista dall’art. 39 Cost.»

Cass., Sez. Lav., 12 febbraio 2021, n° 3672

 

Onere della prova in capo al lavoratore circa la ritenuta nocività dell’ambiente di lavoro

Elemento costitutivo della responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c. è la colpa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore, che deve allegare e provare sia gli indici della nocività dell’ambiente lavorativo cui è esposto, da individuarsi nei concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa, sia il nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione ed i danni subiti.

Cass. Civ., 17 gennaio 2022, n° 1269

 

Obbligatorietà di un determinato CCNL se applicato per cd. “fatti concludenti”

Il Tribunale di Vicenza ha accolto il ricorso presentato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori FILCTEM CGIL, FEMCA CISL, UILTEC UIL, per attività antisindacale nei confronti di una azienda leader nel settore conciario.

Il giudice del lavoro vicentino ha stabilito che nella azienda conciaria deve essere applicato il CCNL per gli addetti dell’industria della lavorazione della Concia sottoscritto a livello nazionale dalle stesse FILCTEM, FEMCA, UILTEC CON UNIC, organizzazioni sindacali e datoriali del settore maggiormente rappresentative nel territorio nazionale (contratto nazionale di riferimento nel settore della Concia).

Contratto al quale l’azienda aveva aderito per “fatti concludenti”.

Questo a fronte della applicazione da parte della società datoriale di un diverso contratto stipulato da altre organizzazioni che avrebbe penalizzato i lavoratori.

La volontà espressa dall’azienda di non applicare più il CCNL UNIC produrrà invece i suoi effetti successivamente, come stabilito nello stesso contratto collettivo nella clausola relativa alla sua durata e decorrenza laddove consente al datore di lavoro associato ad UNIC di svincolarsi unitamente ad UNIC mediante disdetta da inviare sei mesi prima del termine di efficacia del contratto.

Il Tribunale, accogliendo il ricorso, ordina all’azienda di applicare integralmente il CCNL UNIC e, conseguentemente, di consentire alle ricorrenti di convocare assemblea e di riconoscere il RSA UILTEC UIL consentendogli di svolgere le sue funzioni sindacali.

[L’adesione ad un contratto collettivo può essere anche tacita e per fatti concludenti, ravvisabili nella concreta applicazione delle relative clausole>> (cass. civ. 18408/2015). È quindi certo che, una volta che si possa affermare l’adesione di una parte al contratto, questo diventa per la medesima vincolante].

Tribunale di Vicenza – Sez. Lavoro 24.3.2022

 

 

Ai fini del comporto, in epoca COVID, non vanno calcolati i periodi di quarantena per contatto o per essere risultati positivi

Con l’ordinanza del 13 gennaio 2022 il Tribunale di Palmi, Sezione lavoro, ha affermato che l’assenza per malattia da Covid-19 non rientra nei limiti del periodo di comporto.
Di conseguenza è illegittimo il licenziamento del lavoratore per superamento del periodo di comporto se nel computo dei giorni di assenza per malattia vengono considerate anche le assenze a causa del contagio da Covid-19.
Per il giudice di Palmi non può essere valutato ai fini del superamento del periodo di comporto sia il tempo trascorso in quarantena precauzionale per chi ha avuto contatti con un soggetto infetto, sia quello passato in isolamento domiciliare, disposto da un apposito provvedimento del sindaco, per coloro che siano risultati positivi al virus.
L’art. 26 d.l. n. 18 del 2020 infatti prevede che “fino al 31 dicembre 2021, il periodo trascorso in quarantena o in permanenze domiciliare […] non è compatibile ai fini del periodo di comporto”. La predetta norma – prosegue il giudice di Palmi – per individuare il periodo trascorso in quarantena o permanenza domiciliare richiama l’art. 1 comma 2 lett. d) ed e) d.l. n. 19 del 2020 il quale indica da un lato i soggetti ai quali sia applicata la misura della quarantena precauzionale, dall’altro coloro che siano stati sottoposti a “divieto assoluto di allontanarsi dalla prorpria abitazione o dimora per e persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale, perché risultate positive al virus“.
Nel caso in esame deve quindi essere scomputato dal periodo di comporto anche l’arco temporale in cui la ricorrente ha contratto il Covid-19.
Di conseguenza, avendo la società comminato il licenziamento prima della scadenza del periodo di comporto lo stesso deve ritenersi nullo e, ai sensi dell’art. 18 commi 4 e 7, l. n. 300 del 1970, il datore di lavoro va condannato alla reintegrazione della ricorrente e al pagamento della indennità risarcitoria.

Licenziamento “indotto” dal lavoratore e trattenuta del contributo “Naspi”

Nell’ipotesi in cui il lavoratore, anziché dimettersi, mette il datore di lavoro nella necessità di risolvere il rapporto lavorativo, è legittima la compensazione a-tecnica operata dal datore di lavoro che trattiene dalle competenze di fine rapporto spettanti al lavoratore l’importo erogato all’Inps a titolo di “contributo Naspi”

 

Il trasferimento non presuppone l’obbligo di cd. repêchage

In materia di trasferimento del lavoratore, l’ art.2103 c.c. richiede, ai fini della legittimità della scelta datoriale, la sussistenza di ” comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive “.

Il controllo giurisdizionale deve essere diretto adre che vi sia corrispondenza tra il controllo di trasferimento e le finalità tipiche dell’impresa, senza poter sindacare l’opportunità della decisione datoriale, tenuto conto del limite posto dal principio di libertà dell’iniziativa economica privata ex art. 41 Cost.

L’esigenza del mutamento della sede lavorativa, inoltre, non dove presentare necessariamente i caratteri dell’inevitabilità, essendo il trasferimento concreti una delle possibili scelte, tutte accettabili, che il datore può.

Tenuto conto del dato testuale dell’art. 2103 c.c., non è possibile ravvisare in capo al datore l’onere di provare l’inutilizzabilità del dipendente nella sede originaria in altra collocazione, essendo questo un presupposto di legittimità della diversa fattispecie di licenziamento per soppressione del posto di lavoro.

Cfr.: Cass. n. 326506/21 e Cass. n. 27226/2018.

L’utilizzabilità ai fini disciplinari della “chat” aziendale

La “chat” aziendale, destinata alle comunicazioni di servizio dei dipendenti, è qualificabile come strumento di lavoro ai sensi dell’art. 4, comma 2, st. lav. novellato, essendo funzionale alla prestazione lavorativa, con la conseguenza che le informazioni tratte dalla “chat” stessa, a seguito dei controlli effettuati dal datore di lavoro, sono inutilizzabili in mancanza di adeguata informazione preventiva ex art. 4, comma 3, st. lav.

Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva annullato il licenziamento comminato a una lavoratrice – per avere quest’ultima inviato ad una collega, su una “chat” aziendale, messaggi offensivi nei confronti, tra l’altro, di un superiore gerarchico -, sul presupposto che il datore fosse venuto a conoscenza dei messaggi stessi in occasione di un controllo tecnico del quale non era stata data alcuna preventiva comunicazione alla lavoratrice medesima.

Cass., sez. lav., 22 settembre 2021, n. 25731

 

Green pass : riservatezza, privacy e tutela della sanità pubblica

Il D.L. n. 127/2021, così come modificato dalla L. conv. n. 165/2021, prevede che, al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche del possesso del Green Pass, i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore una copia della propria certificazione verde. In tale ipotesi essi, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli.

Tale disposizione è stata criticata sotto due aspetti principali dal Garante della privacy: in primis la previsione della conservazione di una copia del Green Pass si porrebbe in contrasto con il Considerando 48 Reg. (UE) 2021/953, il quale dispone che laddove il certificato verde sia utilizzato per scopi non medici, i dati personali ai quali viene effettuato l’accesso durante il processo di verifica non devono essere conservati, così garantendo la riservatezza anche delle scelte da ciascuno compiute in ordine alla profilassi vaccinale; in secundis si porrebbe in contrasto con le finalità di sanità pubblica perseguite dal Legislatore mediante l’imposizione dei controlli nei luoghi di lavoro, tenuto conto che l’assenza di verifiche durante il periodo di validità del certificato non consentirebbe di rilevare l’eventuale condizione di positività sopravvenuta in capo all’intestatario del certificato.

In ogni caso, il trattamento dei dati così acquisiti deve rispettare i principi generali sanciti dalla normativa in materia (art. 5 GDPR).

Si veda: Segnalazione del Garante della Privacy al Parlamento dell’11 novembre 2021.