Procedimento disciplinare e accesso alla documentazione aziendale

In tema di accesso alla documentazione aziendale inerente al procedimento disciplinare ex art. 7, l. n. 300 del 1970, non vi è un obbligo in capo al datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore tutta la documentazione aziendale, ma solo di assicurare l’efficace esercizio del diritto alla difesa.

 

La Suprema Corte di cassazione sull’art. 7, cit., afferma: “tale norma non prevede l’obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati nel corso del procedimento disciplinare, al di fuori di quella necessaria per una puntuale contestazione dell’addebito e per permettere un’adeguata difesa”.

 

Ancora: “obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore nei cui confronti sia stata elevata una contestazione disciplinare, la documentazione su cui essa si basa, il datore di lavoro è tenuto ad offrire in consultazione all’incolpato i documenti aziendali laddove l’esame degli stessi sia necessario al fine di permettere alla controparte un’adeguata difesa, in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto”.

Corte d’Appello di Bari – Sez. Lav. 23.10.2018

 

Rito Fornero: “riproposizione”, nella fase di opposizione, delle domande (o eccezioni) non accolte in fase sommaria

Massima

Nel rito cd. Fornero, in caso di soccombenza reciproca nella fase sommaria e di opposizione di una sola delle parti, l’altra parte può riproporre nella fase a cognizione piena, con la memoria difensiva, le domande e le eccezioni non accolte, anche dopo la scadenza del termine per presentare autonoma opposizione e senza necessità di formulare una domanda riconvenzionale con relativa istanza di fissazione di una nuova udienza ai sensi dell’art. 418, c.p.c., atteso che l’opposizione non ha natura impugnatoria, ma produce la riespansione del giudizio, chiamando il giudice di primo grado ad esaminare l’oggetto dell’originaria impugnativa di licenziamento nella pienezza della cognizione integrale.

Cass. Sez. Lav. n° 30433 del 2018

Giusta causa di licenziamento: svolgimento di altra attività durante il periodo di malattia o infortunio

In tema di licenziamento per giusta causa, il lavoratore è esonerato dall’onere di dimostrare la compatibilità dello svolgimento di altra attività con la natura della malattia o l’infortunio impeditivi della prestazione lavorativa contrattualmente prevista, nonché la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psicofisiche, ovvero la pronta guarigione e il sollecito rientro in servizio, solo qualora abbia agito in ottemperanza di una prescrizione medica in tal senso.

Corte d’Appello de L’Aquila 31.10.2018

Licenziamento per riduzione di personale e criterio dell’alta specializzazione

Cass. Sez. Lav. 10.12.2018 n° 31872

Il caso.

Con ricorso al Tribunale di Napoli, un lavoratore dipendente presso una società metalmeccanica, licenziato per riduzione di personale nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, aveva dedotto che la società non aveva correttamente osservato i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e chiesto venisse dichiarata la invalidità del licenziamento, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della società al risarcimento del danno.

Aveva inoltre chiesto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato per un periodo precedente l’assunzione, con obbligo della stessa società a risarcire il danno da omessa contribuzione.

Il giudice adito, in parziale accoglimento del ricorso, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento e condannato la società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di fatto percepita per nove mensilità, rigettando nel resto le ulteriori domande e compensando le spese di lite fra le parti.

Avverso la sentenza aveva poi proposto appello la società, reiterando tutte le eccezioni già sollevate in primo grado e cioè l’esistenza di reali ragioni tali da indurre il datore di lavoro a ricorrere alla procedura di mobilità ai sensi della l. n. 223 del 1991, art. 4, commi 6 e 7, e d.lgs. n. 469 del 1997, art. 3, comma 2, in relazione alla quale erano stai rispettati i criteri di scelta tenendo conto delle esigenze tecnico-produttive aziendali.

La Corte d’appello di Napoli aveva confermato la decisione impugnata stante la genericità ed illegittimità dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare adottati ed applicati.

Licenziamento per riduzione di personale e criterio dell’alta specializzazione.

In materia di licenziamenti per riduzione di personale l’accordo sindacale raggiunto al termine della procedura di cui all’art. 4, commi 5-7, l. n. 223 del 1991, legittimamente contiene i criteri di scelta più idonei, nella specifica realtà aziendale data, al fine della migliore individuazione dei dipendenti da licenziare, prevalendo tali criteri su quelli di legge(carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive ed organizzative).

Ciò vale a maggior ragione ove – ricorda la Suprema Corte – per la peculiarità ed alta specializzazione dell’attività aziendale, il ricorso ai menzionati criteri di legge risulti del tutto insufficiente allo scopo, pacificamente permeante la procedura in questione, di salvaguardare la prosecuzione dell’attività produttiva e conseguentemente l’occupazione dell’intero complesso industriale.

Deve infatti evidenziarsi, concludono i giudici di legittimità, che laddove la realtà produttiva aziendale sia caratterizzata da una particolare (e delicata) specializzazione (nel settore tecnico-produttivo), il criterio dell’alta specializzazione non possa ritenersi generico o arbitrario, dovendo esso essere valutato nel peculiare e delicato contesto produttivo in cui esso è chiamato ad operare.

La Corte di cassazione accoglie pertanto il ricorso.

In senso conforme

Cass., sez. lav., 21 settembre 2016, n. 18504

Il nesso tra le mansioni svolte e le patologie professionali

Il lavoratore-ricorrente ha l’onere di provare gli elementi costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, ex art. 2697, c.c.

Nel caso di specie, essendo la domanda diretta al riconoscimento dell’indennizzo per patologia professionale, dovrà essere dimostrata la riconducibilità dell’infermità lamentata alle concrete modalità di svolgimento delle mansioni inerenti alla qualifica posseduta.

La mutabilità, de facto, delle stesse, in ragione di molteplici variabili quali la localizzazione geografica e la turnazione, ne esclude la configurabilità come fatto notorio non necessario da provare.

L’onere suddetto non viene meno nel caso in cui difetti una espressa contestazione delle modalità della prestazione lavorativa, non previamente precisate.

Qualora la patologia risulti essere connotata da una eziologia multifattoriale, e salvo l’esistenza di un rischio specifico, si richiede una dimostrazione del nesso di causalità, quantomeno in termini di probabilità, strettamente legata a situazioni di fatto specifiche, essendo insufficienti mere presunzioni in astratto.

Cfr. Cass., sez. VI, 3 gennaio 2019, n. 61

L’insussistenza del posto segnalato dal lavoratore licenziato costituisce elemento presuntivo dell’impossibilità del repêchage

In caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, pur non essendo il lavoratore licenziato tenuto ad indicare altre posizioni lavorative disponibili esistenti in azienda al momento del recesso, laddove, in un contesto di accertata e grave crisi economica ed organizzativa dell’impresa, questi non di meno indichi le posizioni lavorative a suo avviso disponibili e queste risultino insussistenti, tale verifica ben può essere utilizzata, nel riferito contesto, dal giudice al fine di escludere la possibilità di repêchage.

Cass. Sez. Lav. 28.11.2018 n° 30259

 

L’obbligo di repêchage nel caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore e la tutela reintegratoria

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo consistente sulla inidoneità del lavoratore deve ritenersi illegittimo qualora non sia stato rispettato l’obbligo datoriale di adibire lo stesso a mansioni compatibili con lo stato sopravvenuto di salute, con la conseguente applicabilità della tutela reintegratoria nella sua forma attenuata, come prevista dall’art. 18 comma 4, l. n. 300 del 1970.

Cass. Sez. Lavoro 22.10.2018 n° 26675

 

Diritto di indire l’assemblea sindacale e rappresentatività della singola componente della r.s.u.

In tema di rappresentatività sindacale, dalla lettura coordinata degli artt. 19 e 20, l. 20 maggio 1970, n. 300, si desume che il combinato disposto degli artt. 4 e 5 dell’Accordo Interconfederale del 20 dicembre 1993, istitutivo delle r.s.u., deve essere interpretato nel senso che il diritto di indire assemblee rientra tra le prerogative attribuite non solo alla r.s.u. considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della r.s.u. stessa, purché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nell’azienda di riferimento, sia di fatto dotato di rappresentatività ai sensi del citato art. 19, l. n. 300 del 1970, quale risultante a seguito della sentenza della Corte cost. n. 231 del 2013.

Corte d’Appello di Perugia – Sez. Lavoro 22.10.2018

 

Esonero dall’assoggettamento al termine trimestrale del periodo di prova e recesso ante tempus

L’esonero dall’assoggettamento al termine trimestrale del periodo di prova previsto dal comma 4 dell’art. 4, r.d.l. n. 1825 del 1924, concerne gli impiegati con funzioni equivalenti a quelle di un dirigente; quindi, vi rientrano gli impiegati di prima categoria, con mansioni di concetto di particolare importanza e di collaborazione immediata e attiva nell’ambito dell’organizzazione aziendale, con responsabilità di un ufficio, ancorché senza poteri di rappresentanza in senso tecnico del datore di lavoro, atteso che tali mansioni sono qualificabili come equivalenti a quelle di un dirigente. Secondo consolidati orientamenti della Suprema Corte la figura dell’impiegato di prima categoria (o impiegato di concetto con funzioni direttive) si caratterizza per la preposizione a un singolo ramo o servizio dell’organizzazione aziendale, con relativa supremazia gerarchica, ancorché circoscritta a quel ramo o servizio, e con una certa libertà di apprezzamento e latitudine di iniziativa, nell’esplicazione di un’attività di immediata collaborazione col titolare dell’impresa o con i dirigenti di essa, sia pure nell’attuazione delle direttive generali da questo impartite e senza i poteri discrezionali propri dei dirigenti.

Tribunale di Trento – Sez. Lavoro 29.11.2018

La contestazione disciplinare può essere successiva all’esito del procedimento penale verso il dipendente

In materia di licenziamento disciplinare, è legittima la condotta del datore di lavoro che attenda gli esiti del procedimento penale a carico del lavoratore prima di procedere alla contestazione disciplinare per i medesimi fatti.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 1759/18, depositata il 24 gennaio.