Lo ius variandi in tema di mansioni dirigenziali

Lo ius variandi del datore di lavoro attualmente è collegato ad un duplice limite: il primo, la nozione di categoria (dirigente, quadro, impiegato, operaio) di fonte legale; il secondo, la nozione di inquadramento (I livello, II livello, III livello ecc.) di fonte contrattuale collettiva.

Ai sensi del nuovo testo dell’art. 2103, c.c., ferma la categoria legale, il dipendente può, dunque, essere adibito a una qualsiasi delle qualifiche previste dalla contrattazione collettiva all’interno del medesimo livello di inquadramento.

Nel caso dei contratti collettivi dei dirigenti, ove non è prevista differenziazione di inquadramento, il limite resta quello della categoria per cui il datore di lavoro può adibire il dirigente a qualunque mansione, purché di contenuto dirigenziale.

Ai fini del vaglio della legittimità del comportamento datoriale ai sensi dell’art. 2103, c.c. – nuova formulazione – nei confronti dei dirigenti cosiddetti “apicali”, è necessario fare riferimento a parametri differenti rispetto a quelli utilizzabili per gli altri lavoratori: quali, ad esempio, l’importanza strategica della scelta dell’adibizione del dirigente a mansioni inferiori, ed il rapporto fiduciario, particolarmente intenso, che lega datore e prestatore di lavoro con qualifica dirigenziale.

In senso conforme

Cass., sez. lav., 10 gennaio 2018, n. 330

CEDU: l’installazione di videocamere nascoste, all’insaputa dei dipendenti, per verificare eventuali illeciti, non lede il diritto alla riservatezza

La Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che l’installazione di videocamere nascoste all’insaputa dei dipendenti non lede il diritto alla riservatezza dei lavoratori se tale attività è preordinata a verificare eventuali atti illeciti a danno della Società.

Con la decisione del 17 ottobre 2019 la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo, a definizione del caso López Ribalda e altri contro Spagna (giudizi nn. 1874/13 e 8567/13), ha dichiarato, con 14 voti favorevoli e 3 contrari, che, nella fattispecie esaminata, non vi è stata nessuna violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea del Diritti umani e, all’unanimità, che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 (diritto a un processo equo).

Il caso scrutinato dalla Corte riguardava l’installazione, da parte di una società spagnola della grande distribuzione, di un sistema di videosorveglianza segreta dei dipendenti.

Le immagini raccolte con questo sistema hanno fatto emergere che i lavoratori, come sospettato dall’azienda, rubavano merce aziendale ed hanno costituito il fondamento del licenziamento dei dipendenti stessi.

La Corte ha riscontrato, in particolare, che i tribunali spagnoli hanno attentamente bilanciato i diritti dei lavoratori – dipendenti del supermercato sospettati di furto – e quelli del datore di lavoro, connessi alla tutela del patrimonio aziendale, ed hanno effettuato un esame approfondito delle ragioni che hanno determinato la scelta di installare il sistema di videosorveglianza.

Secondo la Corte, la presenza di una ragione giustificativa meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, come il fondato sospetto di furto da parte dei dipendenti, giustifica la mancata informativa preventiva ai dipendenti circa l’installazione della videosorveglianza, nonostante, in linea generale, la legge richieda che un simile trattamento di dati personali sia sempre accompagnato dalla relativa informativa all’interessato. Ciò a patto che la misura adottata dal datore di lavoro venga giudicata proporzionata al fine perseguito.

Contratto a termine e nullità civilistica per frode alla legge

Il Tribunale di Firenze conclude affermando che laddove il contratto a tempo determinato sia atto a soddisfare esigenze stabili e durevoli, benché la normativa vigente non richieda la sussistenza delle cosiddette causali, il termine apposto deve intendersi in frode alla legge e dunque nullo con la conseguente trasformazione dei rapporti a termine in rapporti a tempo indeterminato ed il pagamento delle indennità previste dalla legge.

La decisione in commento finisce, dunque, per affermare che la sussistenza delle cosiddette causali, ossia delle ragioni oggettive che rendono necessaria l’apposizione del termine, sia sempre necessaria per preservare la legittimità del termine anche allorquando, come nel framework normativo applicabile al caso de quo, il legislatore ha optato per l’introduzione di altri limiti all’apposizione del termine, diversi dalla sussistenza delle causali.

Tribunale Firenze, Sez. Lav., 26 settembre 2019, n. 794

Quando l’amministratore delegato può essere qualificato come lavoratore subordinato ?

La qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società sono cumulabili, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale.

Relativamente all’amministratore delegato l’attenzione deve essere posta sull’ampiezza della delega conferita :  generale, con conseguente gestione globale dell’ente, ovvero parziale per limitati  atti gestori.  Nella prima ipotesi (delega generale) ove l’amministratore agisca senza il necessario consenso del CDA, si esclude lo stesso possa intrattenere un rapporto di lavoro subordinato con l’ente.

Qualora, invece, il CDA abbia attribuito il solo potere di rappresentanza all’esterno, ovvero specifiche deleghe, si ritiene possibile l’instaurazione del suddetto rapporto.

Non trascurabile è anche l’esame di ulteriori circostanze, quali i rapporti intercorrenti fra l’organo delegato e il CDA,  il numero degli amministratori delegati, nonché  la sussistenza in concreto degli elementi caratterizzanti il vincolo di subordinazione (assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione).

Si veda: INPS, messaggio 17 settembre 2019, n. 3359.

Cfr. ex multisCass., sez. I, 9 maggio 2019, n. 12380.

Il distacco transnazionale nelle catene di appalti

Ai fini del riconoscimento della legittimità della fattispecie (art. 30 D.Lgs. 81/2015), è necessario che alla diversa destinazione della prestazione lavorativa, resa nei confronti di un altro soggetto rispetto al datore di lavoro contrattualmente individuato, corrisponda la temporaneità del distacco e la sussistenza di un interesse specifico e rilevabile del datore di lavoro distaccante, che rimane giuridicamente ed economicamente responsabile della prestazione lavorativa, di fatto prestata nell’interesse altrui.

L’obbligatorietà della sussistenza dei suddetti elementi è destinata ad impedire che il distacco possa risolversi in una forma di intermediazione di manodopera illecita, non tollerata dall’ordinamento, per il rischio di elusione delle tutele dei diritti dei lavoratori che ne potrebbe derivare.

La peculiarità della fattispecie, la rilevanza degli interessi coinvolti e la necessità di garantire la costanza ed effettività delle tutele previste, ha indotto fra gli altri frequenti interventi anche dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che ha emanato le “Linee guida per l’attività ispettiva in materia di distacco transazionale”, con le quali, con un compendio della normativa comunitaria e interna, dando conto peraltro degli interventi dello stesso Istituto e del ministero del Lavoro precedenti, sono dettati i canoni fondamentali in materia (Nota INL 1° agosto 2019 n. 622).

Profilo oggettivo della condotta antisindacale

La disposizione ricomprende tutte quelle condotte che siano oggettivamente idonee ad ostacolare l’attività sindacale, sia in relazione a diritti e prerogative, riconosciuti da disposizioni di legge o di contratto collettivo, sia incidendo sulla capacità organizzativa, di aggregazione e di negoziazione del sindacato. Una volta accertato che la condotta è oggettivamente lesiva di prerogative o di diritti di libertà e attività sindacale, l’intento soggettivo è irrilevante. E sussiste una lesione indiretta della capacità di aggregazione, che viene ostacolata, quando la condotta è oggettivamente idonea a determinare lo svilimento del ruolo del sindacato e a pregiudicarne la credibilità e l’immagine presso i lavoratori, quale soggetto capace di essere interlocutore e di incidere nelle relazioni industriali in ambito aziendale. Inoltre, come pure è stato osservato l’art. 28, st. lav., reprime i comportamenti “diretti” a impedire o limitare la libertà sindacale ed è quindi una fattispecie che richiede il pericolo di danno e non già la prova del danno (ossia il fatto di aver patito conseguenze negative a causa della condotta denunciata).

Anche la Cassazione si è espressa in maniera affermativa, sostenendo che per integrare gli estremi della condotta antisindacale di cui all’art. 28, st. lav., lavoratori è sufficiente che il comportamento posto in essere leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, anche in difetto di uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro.

Contratti a tempo determinato : le ragioni oggettive del termine vanno specificate per iscritto, in modo circostanziato e puntuale

Nel caso di specie, per i giudici di appello, le ragioni tecnico-organizzative individuate nel contratto di lavoro – a giustificazione del termine – sono state adeguatamente specificate, facendosi riferimento nello stesso alle seguenti ragioni tecnico-organizzative: “l’appalto al quale verrà assegnata, relativo all’affidamento del contratto di servizio da parte di S.B. alla scrivente società, ha una durata predeterminata fino al 30 aprile 2012 e prevede l’impiego di figure professionali che, allo stato attuale, la scrivente società con il normale organico aziendale non potrebbe fornire se non facendo ricorso ad una nuova assunzione a termine”.

Corte appello Roma sez. lav., 17 settembre 2019, n. 3076

 

Controllo del datore di lavoro sull’attività lavorativa

Il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l’eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti illeciti commessi dal lavoratore in occasione dello svolgimento della prestazione, che possano eventualmente configurare ipotesi penalmente rilevanti. Simmetricamente, ove il controllo demandato all’agenzia investigativa non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa e sia espletato al di fuori dell’orario di lavoro, esso è legittimo, come nel caso di verifica sull’attività extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro, ovvero nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33,  l. n. 104 del 1992.

Tribunale Taranto, Sez. Lav., decr. 13 gennaio 2019, n. 1011

Il committente può esercitare il potere disciplinare, anche per interposta persona, sui lavoratori occupati nell’appalto ?

Un concetto di subordinazione che si imperni sulla nozione di eterodirezione del lavoro deve inevitabilmente tenere conto dell’evoluzione tecnologica, che ha reso in molti settori obsoleta la relazione da superiore a subordinato, rimettendo alle macchine di guidare il processo produttivo; ciò è ancora più evidente nei settori “labour intensive“, nei quali gli appaltatori dispongono in misura irrilevante di beni strumentali propri o non ne dispongono affatto.

Tribunale Padova, Sez. Lav., 16 luglio 2019, n. 550

L’insussistenza del “fatto materiale contestato” di cui all’art. 3, d.lgs. n. 23 del 2015

Con la sentenza n. 12174 dell’8 agosto 2019 la Corte di cassazione ha inteso estendere alla disciplina di cui all’art. 3,d.lgs. n. 23 del 2015, il principio ermeneutico affermatosi in giurisprudenza con riferimento all’art. 18, l. n.300 del 1970, versione Fornero, attestante la sostanziale equivalenza, ai fini sanzionatori, fra “fatto materiale” insussistente e contestazione giuridicamente irrilevante.

L’opzione ermeneutica, oggetto di alcune critiche, conferma tuttavia la raggiunta consapevolezza, da parte della giurisprudenza, di dover di interpretare i testi normativi alla luce dei contesti normativi di riferimento e in ossequio al principio fondamentale di coerenza del sistema giuridico.