Lo ius variandi in tema di mansioni dirigenziali

Lo ius variandi del datore di lavoro attualmente è collegato ad un duplice limite: il primo, la nozione di categoria (dirigente, quadro, impiegato, operaio) di fonte legale; il secondo, la nozione di inquadramento (I livello, II livello, III livello ecc.) di fonte contrattuale collettiva.

Ai sensi del nuovo testo dell’art. 2103, c.c., ferma la categoria legale, il dipendente può, dunque, essere adibito a una qualsiasi delle qualifiche previste dalla contrattazione collettiva all’interno del medesimo livello di inquadramento.

Nel caso dei contratti collettivi dei dirigenti, ove non è prevista differenziazione di inquadramento, il limite resta quello della categoria per cui il datore di lavoro può adibire il dirigente a qualunque mansione, purché di contenuto dirigenziale.

Ai fini del vaglio della legittimità del comportamento datoriale ai sensi dell’art. 2103, c.c. – nuova formulazione – nei confronti dei dirigenti cosiddetti “apicali”, è necessario fare riferimento a parametri differenti rispetto a quelli utilizzabili per gli altri lavoratori: quali, ad esempio, l’importanza strategica della scelta dell’adibizione del dirigente a mansioni inferiori, ed il rapporto fiduciario, particolarmente intenso, che lega datore e prestatore di lavoro con qualifica dirigenziale.

In senso conforme

Cass., sez. lav., 10 gennaio 2018, n. 330