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Conformità all’art. 36 Cost. della retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva : il crisma della rappresentatività non è sufficiente

Il trattamento retributivo stabilito in sede di contrattazione collettiva, dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, si presume essere proporzionale ed adeguato ai sensi dell’art. 36 Cost. Tuttavia è necessario, al fine di valutarne l’effettiva conformità al dettato costituzionale, tenere conto anche del contenuto globale del C.C.N.L. applicato, nonché delle ragioni esterne che hanno indotto le parti a prevedere una retribuzione inferiore, rispetto a quella applicata nel settore di riferimento, ed eventualmente idonee a costituirne fondamento giustificativo.

Tribunale Torino, sez. lav., 9 agosto 2019, n. 1128

In senso conforme Cass. Sez. Lav., 25 marzo 2019, n. 8299

 

Il CCNL può modificare il contenuto della retribuzione annua di cui all’ art. 2120 c.c.

l secondo comma dell’art. 2120, c.c., relativamente alla retribuzione annua  costituente la base di calcolo del TFR, dispone che essa ricomprende tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro (compreso l’equivalente delle prestazioni in natura), a titolo non occasionale, escluso invece quanto il lavoratore ha ricevuto a titolo di rimborso spese.

Tuttavia la medesima disposizione fa salve eventuali diverse previsioni contenute nei contratti collettivi.

Pertanto la regola generale è quella della omnicomprensività, mentre eccezioni alla stessa possono essere contemplate dalla contrattazione collettiva, autorizzata ex legge anche a prevedere, sempre ai fini del calcolo del TFR, una diversa nozione di retribuzione. Si precisa che i criteri di quantificazione di cui all’art. 2120, c.c., potranno essere derogati solo dalla normativa collettiva successiva all’entrata in vigore della novella legislativa (1982), con esclusione di eventuali richiami a norme pattizie previgenti.

Cass. Sez. Lav. 25 settembre 2019 n. 23932.

Diritto di recesso e abuso del diritto

Si è affermato che : “L’abuso del diritto non è ravvisabile nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell’altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti”.

(Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che non vi sono elementi per concludere che il diritto di recedere sia stato esercitato per un fine diverso da quello per il quale l’ordinamento lo riconosce, vale a dire quello di non essere vincolati in perpetuo da un accordo, anche quando le condizioni di fatto siano mutate).

Tribunale La Spezia 7 agosto 2019, n. 2752

In senso conforme

Cass., sez. III 13 giugno 2019 n. 15885
Cass., sez. I 12 dicembre 2017 n. 29792

Licenziamento collettivo e lavoratori obbligatoriamente assunti

Nel bilanciamento dell’interesse del datore al ridimensionamento dell’organico, in una situazione di crisi economica, con quello dell’assunto obbligatoriamente alla conservazione del posto di lavoro, il legislatore privilegia quest’ultimo. Ne consegue che il recesso di cui all’art. 4, comma 9, l. n. 223 del 1991, esercitato nei confronti del lavoratore disabile è annullabile qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei dipendenti rimanenti, occupati obbligatoriamente, sia inferiore alla quota di riserva prevista all’art. 3l. n. 223 del 1991.

Tale norma, infatti, mira a promuovere l’inserimento nel mondo del lavoro del disabile, evitando che in occasione di licenziamenti individuali, o collettivi, motivati da ragioni economiche, il datore possa violare le disposizioni afferenti la presenza percentuale in azienda di personale appartenente alle categorie protette, la cui assunzione sia avvenuta  conformità all’obbligo di legge.

I conferente è la circostanza del rifiuto alla ricollocazione considerato che non è possibile parlare di obbligo di repechage in ipotesi di licenziamento ex l. n. 223 del 1991.

Cass. Sez. Lav. 15 ottobre 2019, n. 26029

Nessun demansionamento con la sola modifica quantitativa delle mansioni

Non ogni modifica quantitativa delle mansioni, con riduzione delle stesse, si traduce automaticamente in una dequalificazione professionale, che invece implica una sottrazione di mansioni tale – per la sua natura e portata, per la sua incidenza sui poteri del lavoratore e sulla sua collocazione nell’ambito aziendale – da comportare un abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con sottilizzazione delle capacità dallo stesso acquisite ed un conseguente impoverimento della sua professionalità.

Cass. Sez. Lav. 9 settembre 2019 n. 22488

Lo ius variandi in tema di mansioni dirigenziali

Lo ius variandi del datore di lavoro attualmente è collegato ad un duplice limite: il primo, la nozione di categoria (dirigente, quadro, impiegato, operaio) di fonte legale; il secondo, la nozione di inquadramento (I livello, II livello, III livello ecc.) di fonte contrattuale collettiva.

Ai sensi del nuovo testo dell’art. 2103, c.c., ferma la categoria legale, il dipendente può, dunque, essere adibito a una qualsiasi delle qualifiche previste dalla contrattazione collettiva all’interno del medesimo livello di inquadramento.

Nel caso dei contratti collettivi dei dirigenti, ove non è prevista differenziazione di inquadramento, il limite resta quello della categoria per cui il datore di lavoro può adibire il dirigente a qualunque mansione, purché di contenuto dirigenziale.

Ai fini del vaglio della legittimità del comportamento datoriale ai sensi dell’art. 2103, c.c. – nuova formulazione – nei confronti dei dirigenti cosiddetti “apicali”, è necessario fare riferimento a parametri differenti rispetto a quelli utilizzabili per gli altri lavoratori: quali, ad esempio, l’importanza strategica della scelta dell’adibizione del dirigente a mansioni inferiori, ed il rapporto fiduciario, particolarmente intenso, che lega datore e prestatore di lavoro con qualifica dirigenziale.

In senso conforme

Cass., sez. lav., 10 gennaio 2018, n. 330

CEDU: l’installazione di videocamere nascoste, all’insaputa dei dipendenti, per verificare eventuali illeciti, non lede il diritto alla riservatezza

La Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che l’installazione di videocamere nascoste all’insaputa dei dipendenti non lede il diritto alla riservatezza dei lavoratori se tale attività è preordinata a verificare eventuali atti illeciti a danno della Società.

Con la decisione del 17 ottobre 2019 la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo, a definizione del caso López Ribalda e altri contro Spagna (giudizi nn. 1874/13 e 8567/13), ha dichiarato, con 14 voti favorevoli e 3 contrari, che, nella fattispecie esaminata, non vi è stata nessuna violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea del Diritti umani e, all’unanimità, che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 (diritto a un processo equo).

Il caso scrutinato dalla Corte riguardava l’installazione, da parte di una società spagnola della grande distribuzione, di un sistema di videosorveglianza segreta dei dipendenti.

Le immagini raccolte con questo sistema hanno fatto emergere che i lavoratori, come sospettato dall’azienda, rubavano merce aziendale ed hanno costituito il fondamento del licenziamento dei dipendenti stessi.

La Corte ha riscontrato, in particolare, che i tribunali spagnoli hanno attentamente bilanciato i diritti dei lavoratori – dipendenti del supermercato sospettati di furto – e quelli del datore di lavoro, connessi alla tutela del patrimonio aziendale, ed hanno effettuato un esame approfondito delle ragioni che hanno determinato la scelta di installare il sistema di videosorveglianza.

Secondo la Corte, la presenza di una ragione giustificativa meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, come il fondato sospetto di furto da parte dei dipendenti, giustifica la mancata informativa preventiva ai dipendenti circa l’installazione della videosorveglianza, nonostante, in linea generale, la legge richieda che un simile trattamento di dati personali sia sempre accompagnato dalla relativa informativa all’interessato. Ciò a patto che la misura adottata dal datore di lavoro venga giudicata proporzionata al fine perseguito.

Contratto a termine e nullità civilistica per frode alla legge

Il Tribunale di Firenze conclude affermando che laddove il contratto a tempo determinato sia atto a soddisfare esigenze stabili e durevoli, benché la normativa vigente non richieda la sussistenza delle cosiddette causali, il termine apposto deve intendersi in frode alla legge e dunque nullo con la conseguente trasformazione dei rapporti a termine in rapporti a tempo indeterminato ed il pagamento delle indennità previste dalla legge.

La decisione in commento finisce, dunque, per affermare che la sussistenza delle cosiddette causali, ossia delle ragioni oggettive che rendono necessaria l’apposizione del termine, sia sempre necessaria per preservare la legittimità del termine anche allorquando, come nel framework normativo applicabile al caso de quo, il legislatore ha optato per l’introduzione di altri limiti all’apposizione del termine, diversi dalla sussistenza delle causali.

Tribunale Firenze, Sez. Lav., 26 settembre 2019, n. 794

Quando l’amministratore delegato può essere qualificato come lavoratore subordinato ?

La qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società sono cumulabili, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale.

Relativamente all’amministratore delegato l’attenzione deve essere posta sull’ampiezza della delega conferita :  generale, con conseguente gestione globale dell’ente, ovvero parziale per limitati  atti gestori.  Nella prima ipotesi (delega generale) ove l’amministratore agisca senza il necessario consenso del CDA, si esclude lo stesso possa intrattenere un rapporto di lavoro subordinato con l’ente.

Qualora, invece, il CDA abbia attribuito il solo potere di rappresentanza all’esterno, ovvero specifiche deleghe, si ritiene possibile l’instaurazione del suddetto rapporto.

Non trascurabile è anche l’esame di ulteriori circostanze, quali i rapporti intercorrenti fra l’organo delegato e il CDA,  il numero degli amministratori delegati, nonché  la sussistenza in concreto degli elementi caratterizzanti il vincolo di subordinazione (assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione).

Si veda: INPS, messaggio 17 settembre 2019, n. 3359.

Cfr. ex multisCass., sez. I, 9 maggio 2019, n. 12380.

Il distacco transnazionale nelle catene di appalti

Ai fini del riconoscimento della legittimità della fattispecie (art. 30 D.Lgs. 81/2015), è necessario che alla diversa destinazione della prestazione lavorativa, resa nei confronti di un altro soggetto rispetto al datore di lavoro contrattualmente individuato, corrisponda la temporaneità del distacco e la sussistenza di un interesse specifico e rilevabile del datore di lavoro distaccante, che rimane giuridicamente ed economicamente responsabile della prestazione lavorativa, di fatto prestata nell’interesse altrui.

L’obbligatorietà della sussistenza dei suddetti elementi è destinata ad impedire che il distacco possa risolversi in una forma di intermediazione di manodopera illecita, non tollerata dall’ordinamento, per il rischio di elusione delle tutele dei diritti dei lavoratori che ne potrebbe derivare.

La peculiarità della fattispecie, la rilevanza degli interessi coinvolti e la necessità di garantire la costanza ed effettività delle tutele previste, ha indotto fra gli altri frequenti interventi anche dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che ha emanato le “Linee guida per l’attività ispettiva in materia di distacco transazionale”, con le quali, con un compendio della normativa comunitaria e interna, dando conto peraltro degli interventi dello stesso Istituto e del ministero del Lavoro precedenti, sono dettati i canoni fondamentali in materia (Nota INL 1° agosto 2019 n. 622).