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Contratto di lavoro a termine e cd. clausola “elastica”

L’operatività aziendale delle grandi società impone l’adozione di criteri elastici nel determinare la legittimità delle clausole contrattuali che individuano il termine e le ragioni sostitutive. Infatti, se da un lato le micro e piccole imprese, con realtà poco strutturate e complesse, riescono a determinare con precisione le mansioni esatte e i ruoli delle persone da sostituire, le società più grandi, con strutture e organizzazioni caratterizzate da un ampio numero di dipendenti e dall’intercambiabilità degli stessi tra le posizioni lavorative, devono essere poste nelle condizioni di individuare le mansioni e le ragioni sostitutive in maniera flessibile e adeguata alla loro operatività.

Cass., Sez. Lav., Ord. 7 maggio 2020, n. 8612

 

La subordinazione nel rapporto dirigenziale

Il potere di direzione datoriale si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma essenzialmente nell’emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con la natura discrezionale dei poteri riferibili al dirigente, sicché è necessario accertare la sussistenza di un coordinamento funzionale della prestazione con gli obiettivi dell’azienda tale da manifestare, nel caso specifico, i tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se in un contesto caratterizzato dalla c.d. subordinazione attenuata aziendale.

Cass., Sez. Lav., 13 febbraio 2020, n. 3640.

 

Tutela reintegratoria in caso di licenziamento da “giusta causa” intimato in assenza di contestazione disciplinare

Nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto che l’omessa contestazione di alcuni comportamenti del dipendente, poi successivamente esplicitati nel provvedimento di licenziamento, comportasse l’applicabilità della tutela reintegratoria ad effetti risarcitori limitati, di cui all’art. 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, considerando ricompreso nell’ipotesi di “insussistenza del fatto contestato” anche il caso di inesistenza della contestazione disciplinare.

Cassazione civile, 24/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep.24/02/2020),  n. 4879

 

Monetizzazione delle ferie

Ove non sia più possibile beneficiare delle ferie maturate in corso di rapporto – ed è questo quello che accade quando il rapporto di lavoro cessi come nel caso in esame per morte del lavoratore – queste non possono essere che monetizzate specie quando risulti che il lavoratore non avesse rifiutato un’offerta datoriale di goderne.

Il divieto di monetizzazione delle ferie di cui all’art. 7, comma 2, direttiva 93/104/CE – poi confluita nella direttiva 2003/88/CE – e ripreso dall’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 66 del 2003, è finalizzalo a garantirne il godimento effettivo che sarebbe vanificato qualora se ne consentisse la sostituzione con un’indennità, la cui erogazione non può essere ritenuta equivalente rispetto alla necessaria tutela della sicurezza e della salute; da ciò discende che l’eccezione al principio – prevista nella seconda parte delle predette disposizioni, concernente la inapplicabilità del predetto divieto in caso di risoluzione del rapporto di lavoro – opera nei soli limiti delle ferie non godute relative al periodo ancora pendente al momento della risoluzione in questione, e non consente la monetizzazione di quelle riferibili agli anni antecedenti; ciò, peraltro, non esclude che il lavoratore, sia in corso di rapporto che al momento della sua risoluzione, possa invocare la tutela civilistica e far valere l’inadempimento del datore di lavoro che abbia violato le norme inderogabili sopra richiamate, a condizione però che il mancato godimento delle ferie sia derivato da causa imputabile al datore di lavoro (nella specie, il dirigente, per la posizione apicale ricoperta nell’azienda, pur avendo il potere di attribuirsi le ferie in piena autonomia, senza condizionamento alcuno da parte del titolare dell’impresa, non lo ha esercitato, così escludendo la configurabilità di un inadempimento colpevole del datore, né ha dimostrato la ricorrenza di condizioni imprevedibili ed eccezionali che ne hanno impedito il godimento: Cass., sez. lav., 10 ottobre2017, n. 23697).

In senso conforme

Cass., sez. lav., 1° febbraio 2018, n. 2496

Le Parti sociali integrano il Protocollo condiviso del 14 marzo sulle misure di contrasto al contagio nei luoghi di lavoro

“La prosecuzione delle attività produttive può infatti avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione. La mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.

Pertanto, le Parti convengono sin da ora il possibile ricorso agli ammortizzatori sociali, con la conseguente riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, al fine di permettere alle imprese di tutti i settori di applicare tali misure e la conseguente messa in sicurezza del luogo di lavoro. Unitamente alla possibilità per l’azienda di ricorrere al lavoro agile e gli ammortizzatori sociali, soluzioni organizzative straordinarie, le parti intendono favorire il contrasto e il contenimento della diffusione del virus”.

 

 

Emergenza Covid 19 e “ferie forzate”

“Il DPCM 10 aprile 2020 nel ribadire, alla lettera hh) dell’art. 1, la volontà di promuovere il lavoro agile “raccomanda in ogni caso ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere la fruizione dei periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dalla lettera precedente e dall’art. 2, comma 2.” Il che equivale a dire che, laddove il datore di lavoro privato sia nelle condizioni di applicare il lavoro agile, e (come nel caso in esame) ne abbia dato prova, il ricorso alle ferie non può essere indiscriminato, ingiustificato o penalizzante, soprattutto laddove vi siano titoli di priorità per ragioni di salute”.

Tribunale di Grosseto – Sez. Lavoro n° 502 del 23.4.2020

Smart working al tempo del Coronavirus

Preliminarmente, sembra opportuno tratteggiare il quadro normativo in tema di lavoro agile, richiamando la l. n. 81 del 2017 recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, che al Capo II, art. 18, si occupa di disciplinare lo smart working, concepito come strumento finalizzato ad incrementare la competitività e ad agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Il lavoro agile si sostanzia in una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Al riguardo, mette conto evidenziare che le disposizioni sul lavoro agile trovano applicazione, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, e successive modificazioni, secondo le direttive emanate anche ai sensi dell’art. 14, l. n. 124 del 2015, e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti.

In particolare, l’art. 3-bis della l. n. 81 del 2017 prevede che i datori di lavoro pubblici e privati, che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile, sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità previsto dall’art. 16 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al d.lgs. n. 151 del 2001, ovvero dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità ai sensi dell’art. 3, comma 3, l. n. 104 del 1992.

Il legislatore precisa altresì che gli incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato sono applicabili anche quando l’attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile.

Alla luce di quanto esposto fino ad ora, è opportuno evidenziare che alla base di questa particolare modalità organizzativa di lavoro che è lo smart working vi è l’accordo delle parti, quale espressione dell’autonomia negoziale che si aggiunge al contratto di lavoro per quanto attiene alla regolazione degli aspetti che la legge affida alla volontà delle parti per l’espletamento dell’attività in ‘modalità agile’. Si tratta di un accordo che deve essere stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova, ed è teso a disciplinare l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore.

Sul punto il legislatore ha precisato che l’accordo di cui al comma 1, art. 19, l. n. 81 del 2017, può essere a termine o a tempo indeterminato; in tale ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni. Tuttavia, merita rilevare che, nel caso di lavoratori disabili ai sensi dell’art. 1, l. n. 68 del 1999, il termine di preavviso del recesso da parte del datore di lavoro non può essere inferiore a novanta giorni, al fine di consentire un’adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore. In presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.

Per quanto attiene poi alla regolamentazione del versante economico, al fine di evitare ogni disparità di trattamento, l’art. 20 della l. n. 81 del 2017 al primo comma precisa che il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’art. 51, d.lgs. n. 81 del 2015, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. Inoltre, al lavoratore impiegato in forme di lavoro agile può essere riconosciuto, nell’ambito dell’accordo di cui all’art. 19, il diritto all’apprendimento permanente, in modalità formali, non formali o informali, ed alla periodica certificazione delle relative competenze.

Decorrenza della prescrizione e differenze retributive

Per il Tribunale di Napoli non è condivisibile “la tesi secondo cui il principio espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza Corte cost. 10 giugno 1966 n. 63, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 2955 n.2, c.c. e 2965 n. 1, c.c.  “…limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro “, così che essa decorra soltanto se il rapporto di lavoro è caratterizzato da ‘stabilità’ (Corte cost., 12 dicembre 1972, n. 174) ritenendosi ‘adeguata’ la stabilità assicurata dall’art. 18, l. n. 300 del 1970, formulazione originaria (Cass., sez. un., n. 1268 del 1976).

Ed infatti le modifiche introdotte dalla l. n. 92 del 2012 – nelle fattispecie in cui, ratione temporis, siano applicabili al rapporto di lavoro – hanno soltanto delimitato la reintegra nel posto di lavoro in presenza di licenziamento illegittimo, che resta assicurata proprio nelle ipotesi più gravi di recesso datoriale esercitato dal contraente più forte che si avvalga illecitamente della sua superiorità economica”.

Tribunale Napoli, Sez. Lav., 12 novembre 2019, n. 7343

 

Licenziamento illegittimo per nullità del patto di prova e tutela indennitaria

Il patto di prova, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto; tale indicazione può essere operata anche mediante rinvio alle declaratorie del contratto collettivo a condizione che il “richiamo sia sufficientemente specifico” (Trib. Roma sez. lav., 2 ottobre 2018, n.7198), essendo “necessaria l’indicazione del singolo profilo mentre risulterebbe generica quella della sola categoria” (Cass. 13 aprile 2017 n. 9597). Tuttavia, “quando si tratta di mansioni relative a prestazioni intellettuali e non solo esecutive, non serve un’indicazione di dettaglio ed è sufficiente che le mansioni siano determinabili” (Cass. 27 gennaio 2011, n. 1957). Inoltre, anche l’indicazione dell’area di competenza professionale ed il reparto del lavoratore può soddisfare requisito di specificità “qualora quest’ultimo individui un’area di professionalità che abbia un significato specifico e renda riconoscibili dal dipendente le mansioni sulle quali si svolgerà la prova (App. Milano, 10/5/2004, in Il lavoro nella giurisprudenza 2004, 1309) ” (Trib. Ivrea, 15 luglio 2019, n. 43). Allo stesso tempo, si rileva altresì che dalla mera “mancata indicazione per iscritto del reparto di cui al lavoratore veniva attribuita la responsabilità, non è dato inferire […] la nullità della clausola”, essendo altresì rilevante “l’accertamento della piena consapevolezza da parte del lavoratore dei compiti e delle responsabilità cui è chiamato e del cui adeguato esercizio deve dare prova” (Cass. 15 maggio 2015, n.10041).

Nel caso di specie è stata accertata illegittimità del patto di prova, genericamente formulato, in ragione (i) della assenza di qualsivoglia descrizione della mansione affidata a Tizio nel contratto di assunzione, identificato come “Esperto con particolare responsabilità ed autonomia”, senza alcuna determinazione delle mansioni affidata nonché (ii) della assoluta inidoneità del richiamo al contratto collettivo nazionale di lavoro per una corretta identificazione delle mansioni, stante la mancata identificazione di profili e mansioni nella descrizione della categoria dei quadri.

Aggiungasi che, nel caso di specie, è stato altresì accertato che il patto di prova era stato sottoscritto dal lavoratore il giorno successivo all’effettivo inizio del rapporto di lavoro, circostanza che già di per sé avrebbe reso nullo il patto (Trib. Torino 16 settembre 2016, in Boll. ADAPT)

Tribunale Genova, Sez. Lav., 20 gennaio 2020, n. 38

 

Il rinnovo del contratto a termine al tempo del COVID – 19

Il D.P.C.M. n. 18 del 17 marzo 2020, nulla prevede in ordine alla cessazione “naturale” di un contratto di lavoro a tempo determinato durante il periodo considerato dal decreto medesimo, precisando unicamente, all’art. 46, che “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti  avviate successivamente alla data del 23 febbraio  2020.  Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n.604”.

Nessuna disposizione è rinvenibile, inoltre, in materia di rinnovo di un contratto di lavoro a termine, il quale potrà avvenire in applicazione del combinato disposto degli artt. 19, comma 1, e 21, d.lgs. n. 81 del 2015 (come modificato dalla  l. n. 96 del 2018). Una tale opzione, tuttavia, è lasciata all’insindacabile discrezionalità delle parti e, in modo particolare, alla valutazione datoriale circa la sussistenza in concreto, in ragione dell’emergenza COVID-19, di “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria” (art. 19, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 81 del 2015).