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Smart working al tempo del Coronavirus

Preliminarmente, sembra opportuno tratteggiare il quadro normativo in tema di lavoro agile, richiamando la l. n. 81 del 2017 recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, che al Capo II, art. 18, si occupa di disciplinare lo smart working, concepito come strumento finalizzato ad incrementare la competitività e ad agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Il lavoro agile si sostanzia in una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Al riguardo, mette conto evidenziare che le disposizioni sul lavoro agile trovano applicazione, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, e successive modificazioni, secondo le direttive emanate anche ai sensi dell’art. 14, l. n. 124 del 2015, e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti.

In particolare, l’art. 3-bis della l. n. 81 del 2017 prevede che i datori di lavoro pubblici e privati, che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile, sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità previsto dall’art. 16 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al d.lgs. n. 151 del 2001, ovvero dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità ai sensi dell’art. 3, comma 3, l. n. 104 del 1992.

Il legislatore precisa altresì che gli incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato sono applicabili anche quando l’attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile.

Alla luce di quanto esposto fino ad ora, è opportuno evidenziare che alla base di questa particolare modalità organizzativa di lavoro che è lo smart working vi è l’accordo delle parti, quale espressione dell’autonomia negoziale che si aggiunge al contratto di lavoro per quanto attiene alla regolazione degli aspetti che la legge affida alla volontà delle parti per l’espletamento dell’attività in ‘modalità agile’. Si tratta di un accordo che deve essere stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova, ed è teso a disciplinare l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore.

Sul punto il legislatore ha precisato che l’accordo di cui al comma 1, art. 19, l. n. 81 del 2017, può essere a termine o a tempo indeterminato; in tale ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni. Tuttavia, merita rilevare che, nel caso di lavoratori disabili ai sensi dell’art. 1, l. n. 68 del 1999, il termine di preavviso del recesso da parte del datore di lavoro non può essere inferiore a novanta giorni, al fine di consentire un’adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore. In presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.

Per quanto attiene poi alla regolamentazione del versante economico, al fine di evitare ogni disparità di trattamento, l’art. 20 della l. n. 81 del 2017 al primo comma precisa che il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’art. 51, d.lgs. n. 81 del 2015, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. Inoltre, al lavoratore impiegato in forme di lavoro agile può essere riconosciuto, nell’ambito dell’accordo di cui all’art. 19, il diritto all’apprendimento permanente, in modalità formali, non formali o informali, ed alla periodica certificazione delle relative competenze.

Decorrenza della prescrizione e differenze retributive

Per il Tribunale di Napoli non è condivisibile “la tesi secondo cui il principio espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza Corte cost. 10 giugno 1966 n. 63, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 2955 n.2, c.c. e 2965 n. 1, c.c.  “…limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro “, così che essa decorra soltanto se il rapporto di lavoro è caratterizzato da ‘stabilità’ (Corte cost., 12 dicembre 1972, n. 174) ritenendosi ‘adeguata’ la stabilità assicurata dall’art. 18, l. n. 300 del 1970, formulazione originaria (Cass., sez. un., n. 1268 del 1976).

Ed infatti le modifiche introdotte dalla l. n. 92 del 2012 – nelle fattispecie in cui, ratione temporis, siano applicabili al rapporto di lavoro – hanno soltanto delimitato la reintegra nel posto di lavoro in presenza di licenziamento illegittimo, che resta assicurata proprio nelle ipotesi più gravi di recesso datoriale esercitato dal contraente più forte che si avvalga illecitamente della sua superiorità economica”.

Tribunale Napoli, Sez. Lav., 12 novembre 2019, n. 7343

 

Licenziamento illegittimo per nullità del patto di prova e tutela indennitaria

Il patto di prova, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto; tale indicazione può essere operata anche mediante rinvio alle declaratorie del contratto collettivo a condizione che il “richiamo sia sufficientemente specifico” (Trib. Roma sez. lav., 2 ottobre 2018, n.7198), essendo “necessaria l’indicazione del singolo profilo mentre risulterebbe generica quella della sola categoria” (Cass. 13 aprile 2017 n. 9597). Tuttavia, “quando si tratta di mansioni relative a prestazioni intellettuali e non solo esecutive, non serve un’indicazione di dettaglio ed è sufficiente che le mansioni siano determinabili” (Cass. 27 gennaio 2011, n. 1957). Inoltre, anche l’indicazione dell’area di competenza professionale ed il reparto del lavoratore può soddisfare requisito di specificità “qualora quest’ultimo individui un’area di professionalità che abbia un significato specifico e renda riconoscibili dal dipendente le mansioni sulle quali si svolgerà la prova (App. Milano, 10/5/2004, in Il lavoro nella giurisprudenza 2004, 1309) ” (Trib. Ivrea, 15 luglio 2019, n. 43). Allo stesso tempo, si rileva altresì che dalla mera “mancata indicazione per iscritto del reparto di cui al lavoratore veniva attribuita la responsabilità, non è dato inferire […] la nullità della clausola”, essendo altresì rilevante “l’accertamento della piena consapevolezza da parte del lavoratore dei compiti e delle responsabilità cui è chiamato e del cui adeguato esercizio deve dare prova” (Cass. 15 maggio 2015, n.10041).

Nel caso di specie è stata accertata illegittimità del patto di prova, genericamente formulato, in ragione (i) della assenza di qualsivoglia descrizione della mansione affidata a Tizio nel contratto di assunzione, identificato come “Esperto con particolare responsabilità ed autonomia”, senza alcuna determinazione delle mansioni affidata nonché (ii) della assoluta inidoneità del richiamo al contratto collettivo nazionale di lavoro per una corretta identificazione delle mansioni, stante la mancata identificazione di profili e mansioni nella descrizione della categoria dei quadri.

Aggiungasi che, nel caso di specie, è stato altresì accertato che il patto di prova era stato sottoscritto dal lavoratore il giorno successivo all’effettivo inizio del rapporto di lavoro, circostanza che già di per sé avrebbe reso nullo il patto (Trib. Torino 16 settembre 2016, in Boll. ADAPT)

Tribunale Genova, Sez. Lav., 20 gennaio 2020, n. 38

 

Il rinnovo del contratto a termine al tempo del COVID – 19

Il D.P.C.M. n. 18 del 17 marzo 2020, nulla prevede in ordine alla cessazione “naturale” di un contratto di lavoro a tempo determinato durante il periodo considerato dal decreto medesimo, precisando unicamente, all’art. 46, che “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti  avviate successivamente alla data del 23 febbraio  2020.  Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n.604”.

Nessuna disposizione è rinvenibile, inoltre, in materia di rinnovo di un contratto di lavoro a termine, il quale potrà avvenire in applicazione del combinato disposto degli artt. 19, comma 1, e 21, d.lgs. n. 81 del 2015 (come modificato dalla  l. n. 96 del 2018). Una tale opzione, tuttavia, è lasciata all’insindacabile discrezionalità delle parti e, in modo particolare, alla valutazione datoriale circa la sussistenza in concreto, in ragione dell’emergenza COVID-19, di “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria” (art. 19, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 81 del 2015).

Inesistenza dei termini di decadenza per il licenziamento ingiustificato del dirigente

In tema di licenziamento dei dirigenti, i termini di decadenza ed inefficacia dell’impugnazione stabiliti dall’art. 6 della l. n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32 della l. n.183 del 2010, non si applicano alle ipotesi di ingiustificatezza convenzionale del recesso, cui consegue la tutela meramente risarcitoria dell’indennità supplementare.

Cass., Sez. Lav., 8 gennaio 2020, n° 148

 

Divieto negoziale di subappalto e responsabilità solidale del committente

Anche laddove le parti abbiano escluso la ricorribilità al subappalto, tale responsabilità per i crediti preventivi non viene meno.

Il rapporto di lavoro e quello previdenziale, per quando connessi, permangono distinti, deve pertanto evidenziarsi l’indisponibilità della obbligazione contributiva, della quale è creditrice l’INPS, e le caratteristiche peculiari della stessa, in assenza di una qualsiasi plausile ragione, inducono ad escludere la possibilità di un esonero della responsabilità del committente, anche ove si sia verificata la violazione del divieto di subappalto concordato inizialmente.

Il secondo comma dell’art. 29, d.lgs. n. 276 del 2003, riconosce tuttavia al committente il beneficio di escussione.

Cass., Sez. Lav., 25 ottobre 2019, n° 27382

Appalto con mere prestazioni di manodopera

L’appalto di opere o servizi espletato con mere prestazioni di manodopera è lecito purché il requisito della organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, previsto dall’art. 29, d.lgs. n. 276 del 2003, costituisca un servizio in sé, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore, senza che l’appaltante, al di là del mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto, eserciti diretti interventi dispositivi e di controllo sui dipendenti dell’appaltatore.

Tribunale Roma, Sez. Lav., ord. 18 dicembre 2019

Sospensione dal servizio del dipendente rinviato a giudizio

L’obbligo di trasferire ad altra sede o ad altro incarico il dipendente rinviato a giudizio opera solo qualora, pur ricorrendone i presupposti, non ne sia stata già disposta la sospensione facoltativa.

Tribunale Roma, Sez. Lav., 3 dicembre 2019

Inesistenza termini di decadenza per il licenziamento ingiustificato del dirigente

In tema di licenziamento dei dirigenti, i termini di decadenza ed inefficacia dell’impugnazione stabiliti dall’art. 6 della l. n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32 della l. n.183 del 2010, non si applicano alle ipotesi di ingiustificatezza convenzionale del recesso, cui consegue la tutela meramente risarcitoria dell’indennità supplementare.

Cass., Sez. Lav., 8 gennaio 2020, n° 148

 

Carica sociale e lavoro subordinato

La qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società sono cumulabili, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale.

Relativamente all’amministratore delegato l’attenzione deve essere posta sull’ampiezza della delega conferita :  generale, con conseguente gestione globale dell’ente, ovvero parziale per limitati  atti gestori.

Nella prima ipotesi (delega generale) ove l’amministratore agisca senza il necessario consenso del CDA, si esclude lo stesso possa intrattenere un rapporto di lavoro subordinato con l’ente.

Qualora, invece, il CDA abbia attribuito il solo potere di rappresentanza all’esterno, ovvero specifiche deleghe, si ritiene possibile l’instaurazione del suddetto rapporto.

Non trascurabile è anche l’esame di ulteriori circostanze, quali i rapporti intercorrenti fra l’organo delegato e il CDA,  il numero degli amministratori delegati, nonché  la sussistenza in concreto degli elementi caratterizzanti il vincolo di subordinazione (assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione). Si veda: INPS, messaggio 17 settembre 2019, n. 3359

Cass., Sez. I, 9 maggio 2019, n° 12380